I cantanti rock dalla vita spericolata muoiono (tendenzialmente) a 27 anni, le guerre di religione scoppiano (molto spesso e non sempre per puri motivi di fede) l’11 settembre. Due dati di fatto. Solo che sui vari Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison, Curt Cobain, Amy Winehouse (senza dimenticare il capostipite Robert Johnson) le riviste musicali hanno versato fiumi di inchiostro, coniando espressioni come il “Club 27” e “la maledizione del J 27” (iniziale prevalente tra i giovani deceduti), mentre quando si parla di 11 settembre tutti, o quasi, ricordano esclusivamente le due torri.
Con qualche eccezione, come alcuni degli 11 registi coinvolti nell’interessantissimo film collettivo “11 settembre 2001”, che uscì a un anno esatto dalla tragedia di Manhattan: Ken Loach, per esempio, non mancò di stabilire una relazione assolutamente non banale tra l’11 settembre americano e quella del golpe cileno del ’73 e Amos Gitai mette in scena una giornalista che tenta di raccontare uno dei tanti attentati di Tel Aviv, avvenuto proprio l’11 settembre 2001, ma viene oscurata dai fatti di New York, quindi ha una reazione isterica che la porta a sparare a raffica una sfilza di 11 settembre della storia, che appaiono tutti più o meno minori rispetto alla notizie in arrivo dalla Grande Mela. E, invece, cercare e mettere in fila gli 11 settembre che hanno segnato l’umanità può non essere un puro esercizio stilistico. Al contrario, può riservare qualche sorpresa e offrire spunti di riflessione anche a coloro che, come chi scrive, sono propensi a pensare che il ricorrere della stessa data sia una pura coincidenza (come lo è quella delle rock star che iniziano con la J... mentre magari i 27 anni meriterebbero un poco più di attenzione: e se fossero per tanti un momento di crisi, come quella di mezza età?).
Ma torniamo agli 11 settembre, cui abbiamo deciso di dedicare un numero monografico de “L’Ordine”, il nostro inserto domenicale in edicola domani. All’11 settembre del 2001 sarà dedicato il paginone centrale, cercando di andare aldilà delle polemiche e delle dietrologie, per analizzare da un lato (lo fa Fulvio Panzeri) come l’attentato di AlQuaeda sia diventato trama complessa di almeno una decina di romanzi (anche italiani) che meritano di essere letti e dall’altro (lo scrive da Houston, Texas, l’autore di uno di quei romanzi, Alessandro Carrera) come, oltre alle migliaia di vittime delle torri gemelle, sia morta anche la verità. Ma la copertina l’abbiamo riservata a un 11 settembre che potenzialmente racchiude in sé conseguenza ancora più importanti, nonché il possibile antidoto al ripetersi di guerre e attentati (a prescindere dalla data in cui si manifestano): quello di 110 anni fa, quando Gandhi propose per la prima volta la “disobbedienza civile”, riuscendo a convincere a metterla in pratica gli indiani residenti in Sud Africa, a prescindere dalla fede induista piuttosto che islamica. Come disse il Mahatma quel giorno, e lo potrete leggere nel discorso integrale che vi riproponiamo, si tratta sempre dello stesso Dio chiamato con nomi diversi.
Rileggere la storia estrapolando soltanto questa fatidica data, può servire anche a riflettere sul fatto che la violenza più becera e folle, difficile da spiegare (all’apparenza), non è una questione lontana, che riguarda altri popoli e altre latitudini, ma l’abbiamo nel sangue. Letteralmente. Basti pensare all’11 settembre di 600 anni fa esatti, quando a Como terminò una guerra civile durata ben 14 anni tra le famiglie dei Rusca e dei Vittani, che si concluse con la “vendita” (in cambio di denaro sonante e remissione dei debiti) della città ai Visconti di Milano, come leggerete nella puntualissima ricostruzione di Alberto Rovi. In Valtellina l’11 settembre 1620 si consumò il “sacro macello”, cruenta battaglia in quel di Tirano tra la popolazione locale cattolica e i grigionesi riformati, ma, come spiega Bruno Ciapponi Landi, dietro si nascondevano ragioni che ben poco avevano a che fare con lo spirito, bensì miravano al dominio su un territorio strategico (da parte degli spagnoli che fomentarono i valtellinesi).
Poi non si può dimenticare l’11 settembre del 1983, quello a cui hanno dedicato un film Renzo Martinelli e un libro Franco Cardini.È’ proprio quest’ultimo a compendiare in una doppia pagina per i nostri lettori il significato della battaglia di Vienna, che fermò l’avanzata dei turchi in Europa. Se l’esito di quello scontro fosse stato opposto, è convinto il professore, la religione musulmana sarebbe già quella prevalente dalle nostre parti.
Come con tutte le ferite storiche, è difficile chiudere i conti con gli 11 settembre. Lo dimostra l’intervista che abbiamo fatto a Rodolfo Reyes, nipote di Naftalì Reyes, di cui è più noto il nome d’arte: Pablo Neruda, il più popolare poeta del Novecento a livello mondiale. Appena sepolto per la quarta volta, dopo essere stato riesumato, su istanza proprio del nipote avvocato e del Programma diritti umani del governo Bachelet, per cercare di stabilire la verità sulla sua morte. Cioè per capire se un sicario di Pinochet abbia accelerato la sua fine (era malato di cancro ma si preparava ad andare in Messico, da dove sarebbe diventato il leader dell’opposizione in esilio). In attesa che la magistratura arrivi al verdetto (per ora un comunicato del ministero dell’Interno ha ammesso per la prima volta nella storia, che Neruda potrebbe essere stato assassinato), vi accompagniamo verso la lettura de “L’Ordine” di domani con alcuni versi del poeta: «E sia pace per le città all’alba / quando si sveglia il pane, / pace al libro come sigillo d’aria, / e pace per le ceneri di questi / morti e di questi altri ancora».
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