E' una serie che ha cercato in tutti i fatti di cronaca più inquietanti di questi ultimi mesi di sviscerare in televisione, in ore da "fascia protetta", i particolari più vergognosi, più intimi che forse è meglio che stiano nelle carte processuali, anche per un doveroso rispetto delle vittime. L'ultimo episodio è ancora legato al "pasticciaccio brutto" di Avetrana, con un weekend sottolineato dalle immagini dell'arresto della madre Cosima, con la folla che la lapida a parole forti e le grida: "Assassina". Il messaggio che questo filmato a ripetizione, indipendentemente dal fatto che la signora in questione sia colpevole o meno, è che ognuno possa, a priori, emettere la sua condanna, in modo sommario. E' questa la mentalità che avvalla questa scena mediaticamente "molto forte", ma in sé moralmente "oscena". E' l'ultimo "scoop" davanti al quale viene da chiedersi che tipo di informazione vogliamo avere, ma soprattutto quale cultura vogliamo costruire: quella della giustizia che si trasferisce dalle aule giudiziarie e passa in mano alle starlette e ai conduttori di turno? Perché sottovalutare il pericolo che immagini e cronache che provengono dal regno del male possano essere destabilizzanti per soggetti sensibili come i bambini e gli anziani, creando un clima di paura, di tensione e un'immagine di mondo che non corrisponde alla realtà? Ricordo che nell'inverno del 1969, da ragazzo, quando la televisione era un'altra, ben più rispettosa, la semplice notizia della scomparsa e del ritrovamento sul litorale della Versilia di un ragazzo, Ermanno Livorini, aveva fatto nascere tutta una serie di paure inconsce. Ora, alla luce di quel ricordo, penso che effetto possa fare tutto questo "male" esibito in televisione, senza alcuna mediazione sui nostri ragazzi, quali traumi potrebbe risvegliare e quali paure far insorgere.
A questo nessuno pensa: tanto ciò che conta sono i dati degli ascolti la morbosità dell'informazione. E' arrivata l'ora dell'indignazione, di fare passi concreti e su questo le Associazioni che tutelano i minori possono impegnarsi, affinché venga ristabilita in televisione, come obbligo, la decenza delle immagini e delle parole. I bambini ascoltano, anche se non riescono a capire tutto e certi particolari possono essere devastanti: non sappiamo come reagisce la memoria interiore. Chi potrà risarcire gli eventuali danni indotti da una cattiva e oscena informazione? Non certo i conduttori. Le fiabe dei fratelli Grimm presentano mali efferati, ma c'è il finale in cui trionfa il bene, in cui c'è il superamento del male, la sua sconfitta a designare la moralità del racconto. In televisione questa catarsi non avviene: il male resta assoluto e invincibile. Da qui l'allarme e il pericolo: per non prestare il gioco ad una cultura dell'impotenza di fronte ad un drago che non riesce a essere sconfitto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA