Il primo, parlando con la stampa estera, ha osservato che l'Italia è afflitta da un eccesso di partigianeria, un atteggiamento che, negando di fatto ciò che ci unisce per sottolineare ossessivamente solo ciò che ci divide, rende tutto più difficile. Quanto a Bagnasco, l'arcivescovo di Genova non ha esitato a parlare di una politica "inguardabile, ridotta a litigio perenne", denunciando "il dramma del vaniloquio dentro alla spirale dell'invettiva che non prevede assunzioni di responsabilità" e rilevando che "la gente è stanca di vivere nella rissa e si sta disamorando sempre più, mentre gli appelli a concentrarsi sulla dimensione della concretezza, del fare quotidiano, della progettualità, sembrano cadere nel vuoto".
Senza scivolare nel catastrofismo che bolla tutta la politica in quanto tale come una dimensione negativa (chiudendo gli occhi di fronte alle realtà positive che pure ci sono) su queste parole occorre riflettere seriamente, finché c'è il tempo di farlo. E' necessario che gli uomini politici si pongano davvero la domanda su chi realmente rappresentino, non solo nelle loro parole ma nei loro comportamenti. E la risposta va trovata subito, prima che a darla sia la gente che sente la classe politica sempre più lontana dalle proprie esigenze, dalle proprie priorità e perfino dalla propria sensibilità, alla quale suona sgradevole tanto il turpiloquio pubblico quanto i toni da cortile dei confronti televisivi.
Occorre rendersi conto che il tempo stringe, perché la pazienza dei cittadini non è infinita. Lo dimostrano tanti segnali piccoli e grandi, fra i quali le clamorose dimostrazioni degli "indignati" di Puerta del Sol a Madrid, che, magari in modo confuso e senza un chiaro obiettivo, rappresentano però efficacemente uno stato d'animo non a caso diffuso soprattutto fra i giovani. Che di questo modo vecchio e bolso di fare politica, pensando prima a se stessi che ai cittadini che si pretende di rappresentare, non ne possono più.
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