"Bisogna tornare a parlare dei problemi della gente": siamo alle solite, niente di nuovo, tutto già sentito, nessuna originalità. Durante ogni consultazione elettorale, prima o poi, ecco riapparire le note parole d'ordine, ecco riaffiorare gli antichi slogans. In verità l'affermazione in oggetto è ambigua e preziosa al tempo stesso sotto molti punti di vista. Innanzitutto i politici, coloro che non esitano un istante ad utilizzare queste vecchie formule che un qualche effetto (magia della politica, politica della magia) sono sempre in grado di garantirlo, non dovrebbero affatto "tornare" ai problemi della gente dato che dovrebbero essere sempre a loro contatto, o meglio, per utilizzare l'unico termine degno di un autentico politico, dato che avrebbero dovuto essere già da sempre al servizio della gente e dei suoi problemi. Questo richiamo a "tornare" converrebbe quindi pronunciarlo a bassa voce, almeno per un po' di rispetto e per un minimo senso di vergogna.
In secondo luogo bisognerebbe ricordare che i politici non devono "parlare" dei problemi della gente, poiché devono cercare di risolverli. I sociologi, i politologi, i filosofi e in genere gli esperti possono e devono "parlare", i giornalisti possono e devono "far parlare", mentre i politici possono e devono "fare", possono e devono "agire". Si assiste invece, particolarmente in clima elettorale, ad una fantasmagorica inversione di ruoli; tutti vogliono fare tutto e soprattutto parlare: i giornalisti parlano invece di far parlare, i politici parlano in tv e parlano scrivendo libri che presentano in tv (libri che spesso essi immaginano e sognano essere saggi di filosofia, di poesia, di storia, ecc.), agli esperti piacerebbe tanto parlare al posto di quei politici ch'essi stessi criticano con severità perché parlano troppo. In tal senso ciò che forse bisognerebbe evitare di fare è proprio di "tornare a parlare" dato che in verità non si è smesso un istante di farlo. Vi è poi quello strano lemma il cui abuso conduce le persone più sensibili ed acute ad una sorta di simpatia per la censura: "la gente". Bisognerebbe proibire o tassare l'uso di questa parola. Chi è "la gente"? Coloro che si galvanizzano nel sollecitare il ritorno "a parlare di problemi della gente" di solito non hanno dubbi: i problemi della gente sarebbero "le buche nelle strade", "gli orari dei mezzi pubblici", "gli spazi verdi nel quartiere" e cose del genere.
Non ve ne sarebbero altri, dato che si citano soltanto questi. Ma davvero "la gente" (cioè noi, tutti noi) non ha altri pensieri, altre preoccupazioni? Ma è così vero che "la gente" pensa solo al proprio quartiere, al proprio condominio e infine alla propria casa, disinteressandosi del tutto ai problemi della disoccupazione e dei licenziamenti, della guerra in Libia o dell'Aids in Africa? Ma "la gente", che è composta di uomini, non ha forse anche ideali, sogni, speranze, fedi, quelle inquietudini che portano ciascuno di noi a pensare anche agli altri, al destino degli altri che è anche parte del nostro destino? Ma, ammesso e non concesso che poi esista davvero, che "gente" è mai quella che identifica e risolve tutti i suoi problemi nelle "buche nelle strade" e negli "spazi verdi del proprio quartiere"?
Si ha il sospetto che "la gente", che una simile concezione de "la gente", sia il frutto dell'invenzione di molti politici che così facendo, invece di rispondere, finiscono in verità per imporre un'idea di cittadino che tende a confondersi con ciò che il grandissimo filosofo Vico chiamava "i bestioni". Una conferma di questo sospetto viene da un'altra parola recentemente sempre più utilizzata all'interno del dibattito politico: "la pancia".
"Il politico deve saper ascoltare i rumori della pancia della gente", così si ripete. Su questo si può essere d'accordo ma solo ad una condizione: quella di non confondere l'"ascoltare" con l'"assecondare". Certo, la pancia esiste, ma anche la testa, ed il cuore. L'uomo è fatto così; non bisogna essere così astratti da credere che "la pancia" sia qualcosa di insignificante, ma non bisogna neppure essere così concreti, realisti e cinici da risolvere tutto l'uomo ne "la pancia". Bisogna ascoltare "la pancia" ma poi bisogna decidere con la testa ed il cuore.
E' certamente difficile, e in alcuni momenti sembra quasi impossibile, ma la testa ed il cuore devono sempre cercare di governare la pancia. Il politico che si sottrae ad un tale compito non fa una "cattiva politica", più semplicemente non fa affatto politica: sfrutta i malumori e le paure, non li governa, non è un politico ma uno sfruttatore. E' un altro lavoro; sarebbe già tanto riconoscerlo. E' sempre ambiguo parlare de "la gente", ma è estremamente pericoloso, ed indecente, identificare "la gente" con "la pancia". No, non siamo fatti così; a fine giornata non ci basta sapere che il giardinetto del condominio è in ordine per sentirci in pace con noi stessi e con gli altri. Siamo uomini non bestioni, e neppure caporali.
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