Le cause sono note, poiché l'Italia non cresce in quanto ingessata da un reticolo di norme che impediscono la libera iniziativa e da una tassazione che scoraggia chi abbia voglia di investire. Mentre negli Stati Uniti il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, creò la sua azienda con soli mille dollari, da noi tale somma non basterebbe neppure ad assolvere gli obblighi legali: dal notaio in giù. Con la conseguenza che negli italiani la creatività viene soffocata fin dalla più giovane età e la mobilità sociale è assai limitata.
Molti concordano sulla diagnosi dell'Istat, ma ben pochi sono disposti ad agire. A proposito delle liberalizzazioni, ad esempio, esiste un consenso solo superficiale perché è quasi impossibile liberarsi dalle regole che intralciano il lavoro. In Italia lo Statuto dei lavoratori è più sacro della Bibbia e quasi allo stesso livello della Costituzione, anche se sono proprio le "tutele" della nostra legislazione a ostacolare lo sviluppo e a causare la disoccupazione. Non si svela nessun arcano se si ricorda che le garanzie assicurate alle donne inducono le imprese - a parità di altre caratteristiche - ad assumere lavoratori maschi. Invece che lasciare spazio alla negoziazione, insomma, si protegge chi poi finisce per pagare assai cara quella stessa tutela. Lo stesso vale per il Mezzogiorno, dove i contratti nazionali mettono fuori mercato molti giovani e spingono le imprese verso il mercato nero e l'illegalità.
L'Italia è dunque in un'impasse. Da un lato vuole liberalizzare, ma poi non è disposta ad aprirsi veramente al mercato. Allo stesso modo, in astratto si vogliono ridurre le imposte, ma poi non si sa contrastare nessuna richiesta di spesa: nemmeno quando a mobilitarsi sono registi e attori ben pagati, desiderosi di continuare a essere sovvenzionati dai contribuenti.
Continuiamo insomma a essere vittime di una vuota retorica che non produce conseguenze. Le diverse famiglie politiche agitano le proprie bandiere, ma poi non fanno nulla di concreto, dato che sono vittime di questo o quel gruppo di interesse, di quella o quella corporazione. E così gli stessi che parlano di allargare gli spazi di mercato, poi s'inventano sempre nuovi ordini e albi professionali.
Imbottita di neo-protezionisti e di nostalgici del socialismo reale, la classe dirigente del Paese è inadeguata ad affrontare le sfide di questo secolo. Ci vorrebbe un ricambio generazionale, un'autentica assunzione di responsabilità e una ventata di nuove idee: finché si è ancora in tempo.
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