Parole profetiche. A pronunciarle fu il sindaco Bruni, nel 2005, quando liquidò con un secco benservito il gruppo di benemeriti guidato dal dottor Fabio Castelli che aveva fatto della Ca' d'Industria un'eccellenza della città. Oggi, dopo che i brillanti risultati della gestione Pellegrino si sono finalmente palesati, il primo cittadino scende dal fico e ordina il «rompete le righe». Viva la perspicacia: come direbbero i nostri vecchi, dopo tre fette ha capito che era polenta. (...) La verità è che quest'ennesimo fallimento il sindaco ce lo poteva risparmiare. Se solo ci avesse dato retta, se avesse ascoltato gli appelli di questo giornale, che interpreta le istanze della città, non saremmo al punto di non ritorno. Perché i segnali che la Ca' d'Industria stava andando a rotoli c'erano tutti già tre, quattro anni fa, quando registrammo le prime proteste seguite da scomposte reazioni.
Abbiamo posto domande, chiesto spiegazioni, pubblicato appelli. Dal dottor Pellegrino una sola risposta: una querela per diffamazione. Gesto eloquente e temerario, che qualifica il personaggio, soprattutto perché a chiedere trasparenza non è il Gabibbo, come forse si usa ad altre latitudini, ma il giornale di questa città.
Così, con il colpevole avallo di un sindaco compiaciuto da tanta baldanza, il «manager dalla grande esperienza» è riuscito nella non facile impresa di inimicarsi tutti: parenti, sindacati, dipendenti, opposizione, vecchia gestione e, naturalmente, i giornalisti dalla fastidiosa curiosità. Ogni occasione è stata buona per far volare gli stracci e dare la colpa ad altri. Dopo aver inventato la teoria del "complotto dei poteri forti", come se a nominarlo presidente fosse stata la Fata Turchina, è riuscito perfino a litigare con il consigliere Vivarelli, fino a ieri suo sodale, offrendo ai comaschi l'imperdibile spettacolo di un confronto fra Titani, tutto questo mentre i nostri anziani, se vogliono mangiare un pomodoro fresco, devono portarselo da casa.
In questi anni il geriatra di Campione d'Italia dalla spiccata propensione per la carta bollata non ha avuto una parola d'autocritica. Né ha mai cercato il consenso: l'ha sempre preteso come atto di fede, in nome di un principio d'autorità che nessuno sa bene da quale magistero derivi.
Adesso siamo al redde rationem. La gestione Pellegrino sarà ricordata come la caporetto dei nostri vecchi. Torni in fretta ai cateteri e ai cataplasmi, per amor di Dio: la Ca' d'Industria - ormai l'hanno capito anche i sassi - non è affar suo. E con lui devono andarsene tutti gli altri: lasciamo lavorare il dottor Antinozzi, l'unico che può metterci una pezza. Gli auguro di riuscirci, perché non sarà impresa facile.
Ma sia chiaro che questi signori non possono pensare di cavarsela così, con una fuga all'inglese. Hanno compromesso quel che era stato costruito dai loro predecessori in vent'anni di impegno gratuito e solidale al servizio della città e devono risarcire il danno arrecato ai comaschi.
Adesso vogliamo vedere i bilanci, vogliamo sapere come sono stati spesi i milioni di euro ereditati dalla gestione Castelli, vogliamo capire perché la vecchia struttura direzionale, che tutti rimpiangono, è stata decimata, vogliamo conoscere quant'è costato ai contribuenti il contenzioso maturato per liti e cause di lavoro. Nessuno pensi di rifugiarsi dietro all'alibi dell'ente di diritto privato: la Ca' d'Industria, in quanto espressione della politica sociale del Comune di Como, non è un sultanato né una prelatura personale, ma deve tornare ad essere la casa di vetro che è sempre stata.
Per questo confidiamo nella magistratura: quella di Como, che sappiamo al lavoro, ma anche quella contabile, forse l'unica che questi signori temono davvero.
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