Quanto accaduto in questi giorni ci dovrebbe convincere del contrario. Anzi, a quanto pare, questi black out sono ancora più rovinosi e generalizzati di quelli che si verificavano quando i computer non c'erano. La fantomatica “rete”, che avviluppa in sé miliardi di nomi, dati, numeri, trasformandoci tutti in insignificanti elementi di un immenso universo codificato, rischia così di trasformarsi in una trappola da cui divincolarsi non è mai facile.
Se quell'invisibile trama di informazioni che fluttua nel nulla, ha un guasto, si scatena il putiferio, proprio come in questi giorni agli sportelli delle Poste. Eppure a quella rete affidiamo buona parte di noi stessi: tutto di noi è dentro le memorie immateriali dei marchingegni che accompagnano la nostra esistenza. Basti pensare alla cosa più elementare, i numeri di telefono. Conosciamo a stento il nostro, gli altri non li sappiamo, affidati come sono alla comoda memoria del nostro telefonino. E quando a quest'ultimo accade qualcosa, si entra nel tunnel del terrore: ho perso tutti i numeri! Un esempio banale ma sintomatico della fiducia quasi cieca che nutriamo per quella rete dalla memoria infinita, a cui consegnamo una bella parte della nostra vita. I fatti di questi giorni ci hanno ricordato che l'ebrezza che genera la tecnologia in continuo sviluppo, l'entusiasmo comprensibile per strumenti sempre più raffinati e straordinari, deve avere un minimo di ritegno.
Abituati ormai ad essere in contatto perenne col mondo intero, “drogati” da un sistema sofisticato che ha abbattuto le barriere dello spazio ma decuplicato i ritmi della nostra esistenza, siamo letteralmente presi dal panico quando il meccanismo perverso si ferma. Non possiamo riscuotere la pensione, non riusciamo a mandare neanche una mail, non siamo in grado di parlare con nostra figlia, che è negli Stati Uniti ma che chiamiamo dieci volte al giorno... vuoi vedere che ci tocca bere un caffè col primo che passa e poi... cosa faremo? Magari potremmo fermarci un attimo e pensare quanto sia fragile la nostra memoria. C'è chi ha detto che noi siamo quello che ricordiamo ed a questo proposito mai come oggi risultano profetiche le parole di Milan Kundera: «C'è un legame profondo fra lentezza e memoria, fra velocità e oblio». Ora, non so se a quegli sfortunati signori, a cui non hanno dato la pensione, questo può servire da consolazione, ma certamente nella “rete”, in questi giorni, siamo finiti tutti noi, impotenti come i lavarelli del nostro lago.
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