È qualcosa di ancestrale che riesce ad aggregare dai tempi dei bisnonni il piccolo grande popolo brianzolo attorno a un totem rotondo e rugoso, una palla da basket.
Cantù è in paradiso perché nella stagione più straordinaria degli ultimi trent'anni non vede fine alle sorprese. E' in finale scudetto, ed è già un miracolo. Gioca contro una multinazionale della pallacanestro tenuta in piedi da una delle banche più potenti e politicizzate d'Italia, il Monte dei Paschi caro a D'Alema. Siena è possente e altera, trasuda denaro e relazioni, affascina avversari e soprattutto gli arbitri. Questo sembra accadere nelle prime due partite in Toscana: sconfitte sonore e programmate, speranze zero. Grazie lo stesso.
Ma c'è gara tre, la sfida impossibile. E in gara tre, dentro il vecchio Pianella che il presidente Claudio Sabatini di Bologna aveva definito in modo sprezzante "un garage" l'orgoglio canturino fa il miracolo. La squadra decolla, i tifosi la spingono con i loro boati, i grandi mercenari del ducato di Siena prima si stupiscono, poi si spaventano, infine si arrendono.
Non sanno che nella notte canturina è accaduto qualcosa di antico: il cuore di un piccolo popolo che da sempre sale sulla collina per santificare la domenica del basket è stato più forte della loro classe, della loro seta, del loro denaro.
Il paradigma è concreto e ci racconta una storia che somiglia a questa terra. Sono stati anni difficili, forse non sono neppure finiti. Sono stati anni di sacrifici in cui le famiglie hanno dovuto sostituirsi allo Stato per creare un welfare autonomo e continuare a guardare l'orizzonte con la testa alta.
Molti artigiani hanno chiuso, altri hanno dovuto tagliare posti di lavoro, la cassa integrazione (vissuta da queste parti come un disonore) ha cominciato a percorrere laboratori, fabbriche, uffici. Ma mentre buona parte del Paese si è seduta ad aspettare la fine dell'uragano, la nostra gente s'è rimboccata le maniche, è ripartita con i campionari. L'abbiamo incontrata a Mosca, in Ucraina, in Siberia, in Cina mentre tentava di vendere mobili ai nuovi borghesi di un mondo in espansione. L'abbiamo vista ripartire con l'orgoglio di sempre, l'umiltà di sempre. E la forza interiore di chi sa guardarsi alle spalle è rispettare il proprio passato.
In tribuna al Pianella, nella notte della follìa, c'era anche il presidente Formigoni.
Ha visto giocatori meravigliosi vincere una partita impossibile, ma soprattutto ha respirato l'aria pulita di una città capace di trasmettere nello sport i valori della propria esistenza.
"Bruceremo Cantù", strillano da sempre i tifosi avversari non sapendo che Cantù è ignifuga.
Ed è in grado di trovare energie chissà dove quando il resto del mondo si è arreso.
Questa squadra di basket, voluta da Anna e Paolo Cremascoli, da Michele ed Elena Ratti, assomiglia in modo incredibile alla città che rappresenta.
E a quell'Italia lontana dal Palazzo, lontana dai compromessi, lontana dal potere più vischioso che sa riconoscere il valore della fatica. E in una notte di giugno sa ancora piangere di gioia.
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