Se ne avessimo il potere, altro che alle Belle Arti o alla Sovraintendenza per il paesaggio, noi quello spicchio di città la consegneremmo direttamente all'Unesco, patrimonio dell'umanità e non certo un pubblico ripostiglio. Come invece è ritenuto, vuoi con la scusa di migliorarlo, vuoi con la sciatteria che troppo spesso distingue l'intervento pubblico ma anche quello privato. E se fosse casa nostra, come in effetti è, lo permetteremmo? Quando arriva un ospite lasciamo lo stendino con i panni in salotto? Oppure abbandoniamo le scarpe puzzolenti sotto il tavolo imbandito? Chi risponde «sì» può evitare di leggere oltre: non capirebbe cosa stiamo dicendo. Chi invece, pur senza cadere nel formalismo, conosce il significato e il valore delle parole «dignità», «decoro», «educazione», «garbo», non può che avvertire lo stridore di un simile comportamento, come unghie che sulla lavagna sfregano.
Ne discutevamo ieri in redazione (perché anche qui, specialmente qui, discutiamo, confrontiamo le idee, non chiudendoci a riccio), qualcuno faceva il paragone con la Svizzera. «Vi immaginate se fosse successo a Losanna? Dove sul posto più bello che hanno stanno attenti persino al colore di un cestino?». No, non ce l'immaginiamo. Gli svizzeri non conoscono mezze misure: come minimo avrebbero fatto un referendum per espellere il borgomastro di turno. Noi siamo meno rigidi, però sarebbe ora di dichiarare, almeno per certi aspetti, la tolleranza zero. Il buono, come abbiamo ammesso all'inizio, è che si sono ricreduti, che hanno dimostrato nei fatti di riconoscere lo sbaglio. La speranza è che non resti un caso isolato e che la prossima volta, invece di porvi riparo, un simile errore neppure lo commettano.
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