Il Governatore Draghi, prendendo commiato dalla Banca d'Italia, ha dovuto riconoscere che le sue osservazioni annuali si sono trasformate in prediche inutili. E' quello che avevamo scritto anche noi un paio d'anni fa, non per mancanza di considerazione verso l'illustre economista, ma per esprimere il nostro sconforto verso un paese che sembra incapace di cambiare. Come non provare tali sentimenti quando si osserva la nostra classe politica? Fanno tutti politica da una vita, ma non hanno ancora imparato a fare politica. Quando li si vede girare da un talk show all'altro e riempire i giornali di proprie interviste, ci si chiede quando mai ministri, sottosegretari e parlamentari studiano i dossier di cui dovrebbero occuparsi? Che invidia si prova per quei senatori americani che spendono una vita, prima da novellini e poi da veterani, nella stessa commissione parlamentare, studiano i problemi, ascoltano gli esperti, viaggiano all'estero (non come le delegazioni di certe regioni meridionali) e conoscono la macchina amministrativa. Senatori competenti, insomma, che sanno cosa vuol dire essere politici di professione.
Per dirla con Max Weber, il grande sociologo tedesco, nel caso del ceto politico italiano, questi non vive per la politica, ma vive della politica. E come non continuare ad usare le sue parole, quando ci ricorda che per il politico di professione uno dei peccati mortale è proprio la vanità, ossia il bisogno di porre in primo piano con la massima evidenza la propria persona? A causa della vanità gli viene a mancare sia il senso della "buona causa", sia della responsabilità. Chi non avverte la pertinenza di questi concetti di fronte alle quotidiane esibizioni dei nostri esponenti politici?
Né possiamo essere più ottimisti nei confronti della classe imprenditoriale, che sembra mancare di coraggio e ha paura di crescere. Se le imprese italiane soffrono di nanismo, non solo non è bello dare la colpa allo Statuto dei Lavoratori (a causa del quale conviene avere pochi dipendenti, così da non essere soggetti alla sua applicazione) o al fisco (più facile da evadere se si è piccoli), ma non è neanche giusto: bisogna chiedersi, invece, se la responsabilità non sia degli imprenditori stessi. Si lamentano perennemente dello stato, ma pretendono gli aiuti dello stesso (che nel bilancio 2011 sono arrivati a superare i 5 miliardi di euro). E quando è tempo di crescere. fondendosi coi propri concorrenti o acquisendoli, si tirano indietro perché ciò potrebbe implicare l'ingresso di nuovi capitali nell'azienda, perdendone così il controllo.
Come si diceva prima, però, stando in mezzo alle ragazze ed ai ragazzi che studiano e lavorano in questo paese, si riesce a sfuggire al pessimismo sul futuro dell'Italia. Sono giovani capaci, professionalmente ed intellettualmente di valore. Sono curiosi. La loro preparazione non ha nulla da invidiare a quella dei propri colleghi stranieri e spesso hanno studiato all'estero.
Altrettanto spesso sono giovani stranieri venuti a studiare in Italia: sono cinesi, turchi, latino-americani, indiani, vietnamiti. La loro presenza in Italia è un elemento di grande ottimismo: se, finiti gli studi, torneranno ai propri paesi, rimarrà forte il legame con la nazione dove hanno studiato. Se resteranno in Italia, invece, porteranno al nostro paese la propria intelligenza, la propria cultura e soprattutto la determinazione ad avere successo, la voglia di riuscire di chi ha avuto il coraggio di emigrare per avere maggiori opportunità nella vita. Non dobbiamo mai dimenticare che se gli Stati Uniti sono diventati un grande paese lo devono anche ai tanti stranieri recatisi ad insegnare e studiare nelle loro università.
Stando insieme a questi giovani ci si rende conto che è nostro dovere batterci per un'Italia migliore e che fortunatamente, però, loro sono già un'Italia migliore.
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