Sono giovanotti e quasi quarantenni di estrazione sociale, storia e cultura diversissime diventati l'orgoglio di una città che non ha avuto timore o vergogna di entusiasmarsi, di gridare, di ballare e di sognare come un bambino. Una città capace di prove ardue, come perdonare, adottare e coccolare financo un milanese dalle scarpette rosse, anzi due se al baldo filosofo Trinchieri aggiungiamo Mago Merlino Arrigoni, quello che compra a scatola chiusa e qualunque cosa prende, com'è e come non è, ci azzecca sempre.
Nomi, i loro, che non figurano in nessuna Hall of Fame, perché di trofei non ne hanno vinti. Ancora. Ma che sono stati capaci di infiammare gente dipinta dai luoghi comuni come fredda e chiusa, casa e bottega, massello e cassa rurale. Luoghi comuni, appunto. Nomi, anzi, persone che hanno infiammato per come hanno giocato le finali, per il cuore grande così gettato oltre l'ostacolo più potente, più ricco, più protetto, certamente più forte (e antipatico). Persone che hanno regalato momenti indimenticabili (la faccia di Armani dopo gara4 non ha prezzo), che hanno entusiasmato per la maniera oseremmo dire educativa con cui hanno condotto questa stagione memorabile.
D'accordo, è solo pallacanestro, ma lo sport è anche paradigma della vita. E allora non è sacrilegio provare ad assimilare qualcosa da questi aspetti positivi: la squadra eletta a valore, il gioco collettivo, la continua ricerca del compagno messo meglio o l'aiutarsi reciproco dietro, in difesa, dove le individualità si livellano e si sacrificano al bene comune. Lo hanno notato in tanti e forse per questo è nato spontaneo il coro finale del Pianella, quell' "Orgogliosi di voi" uscito dal cuore dopo la vittoria e pure dopo la sconfitta, nella buona e nella cattiva sorte. Un coro che è sentimento, momento di unione ideale che non va sprecato.
Fuor di retorica, la speranza è che quest'annata da conservare nella cantina dei ricordi finisca per lasciare un segno tangibile, che questo entusiasmo positivo non vada disperso. Per il bene di tutti, del basket, della città. Perché no, di coloro che gestiscono la cosa pubblica, a Cantù ma non solo: dall'energia del Pianella potrebbero cogliere lo slancio per fare pressing un po' più convinto sul nuovo palazzetto, perché parta e, soprattutto, finisca in tempo; dagli schemi del Trinca potrebbero imparare a lavorare un po' più di squadra e pure dalla regola dei 24 secondi avrebbero l'occasione ricavare qualcosa: se non si fa nulla, si gira a vuoto e si perde tempo, la palla va all'avversario, tu non giochi più e alla fine perdi. Non ce n'è. Dall'esempio del basket, insomma, potremmo adattare lo slogan di Obama: Yes, we can. Too.
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