Ma Cantù non è pronta perché non sa dove metterlo, il basket europeo. Il Pianella non è a norma per i parametri internazionali e il nuovo palasport è una voragine in un prato.
La vicenda è disarmante ed esemplare al tempo stesso. La squadra ha fatto il miracolo, la società ha fatto il miracolo, la proprietà ha fatto il miracolo, lo sponsor ha fatto il miracolo e la città ha fatto il suo, di miracolo: ha sorretto, partecipato, spinto, sognato perché lo storico sport di questo territorio tornasse ai livelli più alti. Tutti hanno dato tutto come i cavalieri che fecero l'impresa. Tutti tranne la politica. Tutti tranne l'amministrazione da tessera omaggio e passerella. Tutti tranne chi, nei decenni, s'è rinchiuso nel Palababele e ha lasciato soli di volta in volta i proprietari a sbrigarsela con ogni tipo di problema. Prima la famiglia Allievi, poi i Polti, più recentemente (e dolorosamente per il portafoglio) la famiglia Corrado e i fratelli Cremascoli. Da una parte la passione, la volontà di mantenere la pallacanestro a Cantù, il rispetto dei patti e degli equilibri. Dall'altra il solito minuetto con fontana sullo sfondo, usata per lavarsene le mani.
Ad onor del vero l'amministrazione Sala ha fatto passi avanti significativi rispetto ai predecessori e, quanto meno, il Palababele lo ha abbattuto. Era la Ticosa brianzola, il simbolo dell'immobilismo della politica, una lapide di lamiera rossa sull'incapacità della città di individuare il proprio ruolo futuro. Ma il passo successivo ci preoccupa perché del nuovo palazzetto – progettato, finanziato, approvato – non c'è traccia concreta. Rendering, fotografie, chiacchiere dove servirebbero ruspe, fondamenta, polvere di cantiere. Mentre la squadra vinceva, in Comune rispondevano allargando le braccia: «La pratica è ferma al Coni». Come se la faccenda riguardasse altri. Ma il committente della struttura è il Comune, che necessariamente deve farsi carico di seguire, sponsorizzare, sbloccare la pratica. Nella vita c'è chi nasce dalla parte del problema e chi dalla parte della soluzione. Possibile che i politici debbano sempre andare a rimorchio?
Il fatalismo genera passività. Sappiamo troppo bene che la politica della flanella porta solo a dichiarazioni programmatiche e a qualche convegno. Ma Cantù (esattamente come Como) oggi ha bisogno di ben altro. E l'urgenza del palazzetto è enorme. Per dare una casa a una squadra che rappresenta il territorio almeno quanto i mobili. E se vogliamo per qualcosa di ancora più importante: per dire con forza ai canturini che la stagione delle parole (25 anni sono stati sufficienti) è finita e lascia di nuovo il posto alla stagione della concretezza. A Cantù, quest'anno hanno saputo fare canestro tutti. Se lo ricordino i politici. Se non sono capaci vadano a casa a giocare a un altro sport.
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