Ne ho visti di direttori salutare e andare via. Quando lo fece De Simoni dalla Provincia ero poco più che un ragazzo; uscì perché non sopportava di vedere entrare i computer. E con loro una nuova era. Quando lo fece Montanelli dal Giornale ero un redattore spaesato e triste come gli altri. Tutta l'Italia vaticinava che avremmo chiuso in una settimana: arrivò Vittorio Feltri e raddoppiò le vendite. Segnale che non ho mai dimenticato, perché i direttori passano (e quando si convincono d'essere indispensabili passano più in fretta), ma i giornali restano. Eccome se restano. La Provincia vuol bene a questo territorio e lo racconta da 119 anni. Festeggerà i 120 alla guida di Diego Minonzio, un signor professionista che conosce bene le curve della scrittura e della nostra gente.
Per questo vi saluto con un grande sorriso e un pizzico di malinconia. E' il sorriso di chi, nei commiati, apprezza la leggerezza e non vuole pesare sui calli del lettore, che ha già i suoi problemi quotidiani e non ha bisogno di sentire quelli eventuali dei giornalisti. E' il sorriso di chi è stato chiamato dall'Editore a un altro affascinante compito e intende onorarlo. Ma è la malinconia di chi, in questi cinque anni, ha scoperto giorno dopo giorno che dirigere il giornale della propria città è l'esperienza umana e professionale più incredibile ed esaltante che possa capitare a un cronista. Uno tsunami dell'anima, un giudizio universale che si celebra tutti i giorni. Quando mi capitava di tornare a casa particolarmente tardi, mia moglie mi apostrofava: «Hai due figli, ma ti curi più del terzo. Il giornale». Era vero.
Ringrazio i sempre numerosi lettori che ci sostengono, che scelgono la Provincia sul banco delle edicole, che hanno apprezzato il Mag, che hanno fatto decollare il sito web, che ci spingono ad essere sempre all'avanguardia sulla strada della multimedialità. E ringrazio la redazione, che in questa stagione ha saputo essere protagonista con entusiasmo e professionalità. Ragazzi, ci siamo divertiti. E facendolo abbiamo aiutato il territorio a prendere coscienza del proprio ruolo, delle proprie potenzialità. Non abbiamo mai nascosto il nostro amore per Como meravigliosa e ombelicale, per la Brianza degli artigiani, per Cantù e il basket, per Erba e Olgiate, polmoni del nuovo e delle idee.
Vorrei infine ricordare le inchieste. Sulla Ticosa abbandonata, sulla trasparenza della politica, sulla cementificazione in città, sul lago ferito, sulla Pedemontana che non arriva mai. E sul muro davanti al lago, uno scempio che i comaschi hanno saputo evitare in simbiosi con il loro giornale: seimila firme in dieci giorni e l'abbiamo fatto abbattere.
In questi anni si sono divertiti molto meno i politici locali, abituati a russare sul consenso. A costoro il sorriso, durante la lettura della Provincia, si è spesso trasformato in paresi facciale. Qualche giorno fa nel Palazzo girava una domanda: «Davvero se ne va quel rompiscatole di Gandola?». E' il complimento più bello che potessero farmi. Ma non si mettano troppo tranquilli perché i rompiscatole con la penna in mano sono come la gramigna: certamente ne spunta un altro.
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