Il giornale fu dipinto come una pattuglia di no Tav che non si opponevano al cemento, sparso in maniera indiscriminata e sregolata vicino alle rive del Lario e sulle colline circostanti. Eppure quella campagna avrebbe dovuto far drizzare le orecchie e non solo le code (di paglia) a chi si deve prendere cura del territorio. Forse qualcuna di queste orecchie sarà fischiata l'altro giorno, mentre il rombo della montagna precedeva le frane che hanno rischiato di provocare un'ecatombe a Brienno. Il che non è avvenuto solo per caso o perché qualcuno, da molto più in alto delle colline stuprate dal cemento, ha guardato verso il basso.
Danni e disagi non sono però mancati. E il conto sarà salato. Certo, è facile chiedersi ora se tutto questo non poteva essere evitato. Sono le prediche inutile e scontate del giorno dopo. Eppure il dubbio resta ed è difficile da scacciare. Quelle frane potrebbero essere state l'urlo del lago ferito, che come una belva colpita in maniera quasi letale si muove alla cieca e, prima di soccombere, è in grado far male.
Certo, non esiste la pistola fumante, la prova che collega l'edificazione selvaggia a questa catastrofe naturale. Ma neppure si può dimostrare che la cementificazione e l'abbandono dei boschi non abbiano a che fare con questa catastrofe naturale che forse del tutto naturale non è. Ha piovuto con grande intensità. Ma non si è visto Noè al timone in navigazione sul lago. Ci sono stati nubifragi ben peggiori. Allora chiedersi se ci sia qualcos'altro oltre alla pioggia non significa iscriversi d'ufficio al partito dei pasdaran dell'ambientalismo.
Perché c'è ciò che si vede e si conosce. Appartamenti, villette, condomini vista a lago che continuano a crescere in un panorama, quello che si può notare percorrendo la Regina (quando è aperta), punteggiato da gru di metallo. Costruzioni che hanno poi bisogno di parcheggi, box e strade di collegamento.
Per carità nessuno vuole demonizzare l'edilizia, un settore che dà da vivere a milioni di famiglie. E neppure si intende insinuare il dubbio che qualcuno si muova al di fuori delle regole. Ma sono proprio queste ultime da rivedere. Perché la fame atavica di quattrini da parte dei comuni strangolati da Roma con la corda del federalismo fiscale, non può giustificare la scellerata cessione del territorio. Un territorio che, questo lo dicono gli esperti, è sempre più consumato. Al di là delle regole, perciò, servirebbe il buon senso. E anche magari qualche esercizio di contabilità elementare. Se le nuove costruzioni portano benefici ai comuni sotto forma di standard e oneri di urbanizzazione, queste entrate rischiano di trasformarsi in uscite (decuplicate), quando il lago ferito lancia il suo urlo disperato. Ne vale la pena?
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