Eppure, con il lento ma inesorabile avvicinarsi della fine legislatura e con la sempre possibile dipartita prematura dell'esecutivo, il ricambio al vertice dei partiti dovrebbe essere un tema concreto dell'agenda politica e non solo uno spunto di estivo chiacchiericcio. Ma, ogni volta, la discussione finisce per avvitarsi su se stessa. Nelle scorse settimane, gli osservatori hanno notato l'ascesa della stella di Maroni tra i fedelissimi della Lega. Un possibile successore per il leone Bossi? Non proprio, non subito. «Maroni è bravo - il Senatur ha liquidato la pratica - però bravi ce ne sono tanti».
Più recentemente, Silvio Berlusconi ha consegnato ad Angelino Alfano le chiavi del Popolo delle Libertà nel corso di un'assemblea in cui la spontanea incoronazione del ministro è sembrata regolata da un ferreo copione. La platea ha diligentemente applaudito l'elezione di Alfano ma, un minuto dopo, con il broncio di chi non ha avuto da papà l'atteso regalo, lo schieramento dei colonnelli ha insistito perché, nel futuro prossimo, anche il centrodestra ricorra allo strumento delle primarie, in modo da rimettere in gioco la scelta del candidato premier. Berlusconi ha tuttavia risposto sottolineando la fiducia riposta in Alfano e fulminando l'ipotesi alternativa - forse più credibile in quanto spontanea - legata al nome di Giulio Tremonti.
Nel centrosinistra la ricerca di un leader ricomincia ogni mattino insieme al cappuccino e al cornetto ma non per questo è mai arrivata a un risultato concreto. Paradossalmente, più l'evidenza dei fatti indica che la scelta dei candidati deve venire "dal basso", più ci si ostina a imporre le scelte "dall'alto", cercando solo in seconda battuta, tramite l'esercizio delle "primarie", un imprimatur popolare, salvo scoprire di non essere in grado di governare il processo. Viene il sospetto che nonostante l'apparente profusione di sforzi, la politica non sia affatto in cerca di figure del rinnovamento. Per alcuni - i leader in carica - il problema non è cercare successori, ma cloni: figure non troppo autorevoli ma certo accomodanti, sorta di "avatar" in grado di prolungare nel tempo un potere che i limiti biologici non consentono di mantenere ancora a lungo. Per altri, gli uomini ora in seconda fila, si tratta di una lotta necessaria a mantenere in vita il sogno di essere loro, un giorno, i prescelti e di uscire dal ruolo di "giovani promesse" che, in Italia, può condurre dritti dritti sulla soglia della casa di riposo. Come si vede, di rinnovamento nel genuino senso della parola se ne vede poco, pochissimo. Quello che c'è, a ben vedere, provvedono a sterminarlo i giornali, promuovendo candidati imberbi e vincitori di elezioni ai consigli di circoscrizione al rango di "fenomeni emergenti" e decretandone di conseguenza un prematuro tramonto.
La ricetta, unica possibile per uscire dall'impasse, è che il tempo e i mutamenti sociali impongano essi il cambiamento, scegliendo il nuovo sulla base dell'istantanea condanna che, presentandosi sulla scena, inevitabilmente impone al vecchio. Speriamo non ce ne voglia troppo, di tempo, perché, a furia di sottovalutarne lo scorrere, ci accorgeremo presto di non averne più.
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