Scottati dai bond argentini, dalla sòla dei guadagni facili con i titoli Parmalat o Cirio, abbiamo imparato a diffidare dalle banche e un minimo di cultura finanziaria ce la siamo pure fatta, così capiamo che l'unica cosa che possiamo fare noi piccoli risparmiatori è sperare nel ritorno del buonsenso di chi ci governa. È vero che l'attacco della finanza speculativa riguarda mezza Europa, ma in questo caso il detto "mal comune, mezzo gaudio" non vale. I mercati internazionali che premiano stabilità e concretezza, non danno infatti grande credito alle dichiarazioni dei vari Schifani, Bersani e nemmeno del super ministro Tremonti se poi non seguono i fatti. Nemmeno le barzellette di Berlusconi funzionano più. Nell'immediato per l'Italia i fatti significano l'approvazione in tempi brevi di una manovra di risanamento del bilancio dello Stato cui faccia seguito una seria politica economica di sviluppo.
La cosiddetta prassi del buon padre di famiglia suggerirebbe un appello al «serrate le fila» (fatto, per carità, da quel grand'uomo di Napolitano) seguito immediatamente dal taglio delle spese per far quadrare i conti. Sempre il buon padre di famiglia, ridurrebbe all'osso l'uso della macchina di grossa cilindrata a favore dell'utilitaria della moglie; il taglio della paghetta al figlio adolescente; la cancellazione delle vacanze in Sardegna e dell'abitudine della cena al ristorante un paio di sabati al mese. Il tutto per preservare il "tesoretto" rappresentato dai risparmi di una vita. Le notizie di questi giorni, a meno di un rinsavimento - sperabile - dell'ultima ora, ci dicono però esattamente il contrario. Chi dovrà sostenere l'onere maggiore del primo step da due miliardi della manovra riparatrice sarà come al solito il ceto medio, quell'indistinta marea di milioni di italiani che può contare, se va bene, su uno stipendio fisso a fine mese spesso alleggerito dalla cassa integrazione o dal taglio degli straordinari. Su quest'esercito di formichine su cui si basa la credibilità dell'Italia all'estero, si sta per abbattere un piano di austerity che rischia di fiaccarne la già ridotta capacità di risparmio. Si va dal taglio delle agevolazioni, detrazioni e deduzioni fiscali che intaccheranno il welfare e peseranno sulle imprese, al superbollo sui Bot (anche se l'ultima versione parla di un adeguamento "progressivo e graduale" per placare la sollevazione popolare seguita all'annuncio).
Al di là di come sarà la versione finale del testo che licenzierà domani il Parlamento, saranno comunque sacrifici quelli che ci attendono. Peccato che dai palazzi romani non sta arrivando nessun messaggio di condivisione di questa avventura. Niente tagli alle auto blu, niente riduzione degli stipendi dei deputati (che siano Responsabili o meno) o azzeramento dei vitalizi agli ex parlamentari; rinvio al biennio 2013-14 delle misure più draconiane per rimettere a posto i conti dello Stato non tanto per rendere meno amara la medicina, ma per mero calcolo elettorale visto l'appuntamento in programma con le urne.
Nel frattempo, mentre stiamo alla finestra ad aspettare la fine della "tempesta perfetta", possiamo solo prendere nota di chi almeno alla fine ci darà un ombrello per ripararci.
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