È un romanzo del '61 eppure in molti hanno voluto vedervi paralleli con le vicende italiane di questi giorni. Con una differenza, fondamentale, però: che il quadro generale della Francia descritta da Simenon è molto più solido di quello dell'Italia odierna. Un Paese il nostro il quale, ieri, ha dovuto assistere a una nuova, sonante, bocciatura. Che, con tutta probabilità non sarà l'ultima e forse neppure la peggiore.
La Borsa ha perso un altro 3%, lo spread dei rendimenti tra Btp italiani e i corrispondenti Bund tedeschi è salito fino a 332 punti con un rendimento al 6%. Un sinistro-destro micidiali che, di fatto, hanno negato efficacia alla manovra varata la scorsa settimana - manovra da 48 miliardi - e non hanno prestato molta fiducia al buon risultato delle banche italiane rispetto agli stress test.
Un intrigo degno di Simenon, dunque come Tremonti potrebbe pensare nei suoi momenti dedicati alla lettura? Neppure per sogno, perché i segni "meno" di ieri più che sulla tenuta finanziaria italiana sono riferiti all'instabilità politica: i mercati internazionali vedono un orizzonte politico fosco, il governo non convince sulla possibilità di varare provvedimenti realmente capaci di azzerare il debito, non convince sulla sua solidità - anche con Scilipoti & C. -, non convince un ministro del Tesoro lambito dalle mosse oscure del suo braccio destro, non convince un premier che se ne sta zitto per una settimana in piena tempesta speculativa, forse più preoccupato della maxi condanna finanziaria subita dal gruppo multimediale della sua famiglia.
Gli speculatori non sono "dame della carità", non si preoccupano della povera gente così come dei governi. Ma se questi non li inducono ad avere fiducia, i loro "giochi" sui mercati ricadono sui popoli. Lo ha detto a chiare lettere la banca d'affari Goldman Sachs secondo la quale «la potenziale incapacità del governo a fare necessari tagli di bilancio ha aggiunto timori al peso delle misure di austerity».
Quindi quella di ieri è stata una bocciatura soprattutto politica. Di chi non ha avuto la forza o il coraggio di andare fino in fondo, scontentando tutti: i cittadini, e quelli più "poveri" in particolare, e i mercati. L'Europa aveva chiesto il taglio della spesa e nella manovra appena varata ci si ritrova con il 60% che grava sulle entrate, con la possibilità che, in assenza di esercizio della delega fiscale, scattino ulteriori tagli delle agevolazioni fino al 20%. Ossia in un pratico aumento delle tasse.
Oggi per non tagliare in maniera efficace e selettiva la spesa pubblica, Tremonti ha imposto i ticket sanitari, i rincari sui bolli titoli - una piccola patrimoniale - non ha toccato le pensioni se non con il contributo di solidarietà per le più alte e affidandosi a scelte operate in passato e da altri, quando ha ridotto un po' i tagli agli enti locali ha previsto una copertura con la riduzione dei rimborsi delle imposte, il che si traduce in un aumento delle imposte "mascherato e toccando anche un diritto di chi aveva già pagato in più. E laddove ha risparmiato nei trasferimenti, costringerà gli enti locali ad aumentare le gabelle. Gira e rigira, saranno sempre tasse in più.
È tutto questo che ai mercati non è piaciuto. Con buona pace del ministro e degli intrighi di carta che è meglio lasciare a Simenon e ai suoi tempi.
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