In questi giorni l'attenzione si è fatta sempre più morbosa intorno al caso di Melania Rea, con l'arresto del marito. Non stiamo a ribadire i contorni della vicenda, ormai nota in tutti i suoi particolari, anche in quelli che, per decenza e rispetto umano, sarebbe stato meglio evitare. Per tutti.
Partiamo dal presupposto che l'arresto del marito non sia un indice certo di colpevolezza, ma stando a quanto ci viene raccontato dalle richieste dei giudici, si presuppone che sia stato lui, magari con qualche complicità, ad infierire barbaramente sulla moglie, in quel Bosco delle Casermette, divenuto tristemente noto in questi mesi. La richiesta del suo arresto di per se non avrebbe bisogno di commenti, ma l'indizio di colpevolezza che la richiesta indica fa sorgere in noi un'atroce domanda, rispetto all'altra vittima di questa tragedia, una domanda che nessuno ha posto, ma che diventa essenziale, in questo quadro accusatorio. Se è stato il padre ad infierire su questa giovane donna e giovane madre, la tragedia assume contorni ancora più inquieti. Non si può leggere come un semplice giallo che riempie la stanca programmazione estiva di una televisione priva di novità.
La domanda è semplice e sembra non interessare, ma è un nodo sostanziale di questa storia nerissima: dov'era la figlia, mentre si consumava il martirio della madre? Che cosa si è impresso negli occhi di quella bambina di soli diciotto mesi, un anno e mezzo? Che cosa può avere sentito?
La nostra pietà umana vorrebbe che a lei, a questa bambina, sia stato risparmiato di assistere al compiersi del male, che sia stata, almeno lei, protetta da questa violenza che ha coinvolto il padre e la madre. E' una speranza, non una certezza, quella di una furia cieca che però abbia avuto, almeno, la cautela di nascondere agli occhi innocenti di una bambina ciò che stava avvenendo in quel bosco.
Se questa cautela non fosse stata usata, allora, si prospetta non un solo martirio, quello della madre, ma un altro, anche quello della figlia, la cui innocenza può essere stata macchiata dal fatto di essere stata testimone del delitto.
Con questo non si chiede, come era stato ventilato anche durante le indagini, di sentire la bambina, ma di pensare che tutto questo dolore è un dolore vero, che non si esaurisce con la risoluzione del giallo e con l'arresto del padre. Se la bambina ha visto, questa ferita l'accompagnerà per tutta la vita, perché i suoi occhi hanno impresso in sé il segno del male che si stava compiendo, un trauma che allarga i contorni di questa tragica storia.
Già è difficile per una bambina superare la perdita della madre, pur con tutto il contesto di protezione da parte dei nonni materni, già sarà difficile spiegarle quando crescerà, se realmente i fatti sono andati come ipotizza la richiesta d'arresto, che è stato il padre a portarle via la madre, se poi i suoi occhi innocenti sono stati sfregiati da quella violenza, il peso del male diventa insopportabile.
E' lei che chiede la verità, perché la verità è necessaria sempre, ma per la bambina, in questo caso, può essere un gesto di pietà che il padre le porge, per redimere tutto il male che in quel bosco è diventato nerissima notte.
La bambina, se ha vissuto e visto quella notte, non può essere abbandonata in quel buio. La verità è l'unica luce possibile. E per il padre, se è veramente un padre, è un atto dovuto verso la figlia.
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