La parola chiave, qui, è tradizione. Un concetto che sembra essere estraneo a chi, in questi giorni, discute del destino del Giro di Lombardia, ovvero della "classica" ciclistica di fine stagione il cui traguardo è tradizione (tutto torna, vedete?) venga collocato nella città di Como.
Con l'avvicinarsi dell'addio di Angelo Zomegnan, gran patron di quella Rcs Sport organizzatrice della corsa, nonché buon amico del territorio lariano, si mormora di scelte "politiche" (parola sgradevole: non era meglio "tradizione"?) che allontanerebbero il Giro da Como, stabilendone il traguardo di volta in volta in base a una rotazione biennale che, a partire già da ottobre, porterebbe la gara a Lecco e in seguito anche a Bergamo e a Varese.
Premesso che Rcs Sport della sua corsa può fare ciò che vuole, non è forse superfluo ricordare quanto, a certi livelli, lo sport diventi leggenda solo se mantiene uno stretto collegamento con la tradizione. Ci si è provati, in passato, a strappare il Gran premio d'Italia di Formula 1 a Monza ma la ragione - e il sentimento - hanno prevalso: per gli appassionati, l'asfalto del Parco reale ha una storia e un fascino che fanno la differenza. In altre parole, non è la stessa cosa se i bolidi corrono a Monza o in un anello nei pressi, per dire, di Lambrate.
Gli inglesi, che delle tradizioni hanno fatto uno stile unico, non si sognerebbero di trasferire il torneo di Wimbledon ai docks di Liverpool o le corse di Ascot (300 anni di storia) in un sobborgo di Sheffield. Nel suo piccolo, il Giro di Lombardia si nutre delle stesse consuetudini, delle stesse attese ricorrenze. Si tratta di abitudini che, se ripetute con opportuna liturgia, finiscono per diventare scintillanti tradizioni: nel caso del Giro di Lombardia è doveroso citare l'arrivo sul lungolago di Como (un tempo era la pista attorno al campo dello stadio Sinigaglia), la salita del Ghisallo e, poco prima della chiusura, la collina di San Fermo. Una combinazione cui si era già attentato in passato ma che per fortuna si è provveduto a ripristinare.
Il Ghisallo, soprattutto, è un luogo legato tanto al ciclismo in generale quanto al Giro in particolare: ora viene assicurato che, comunque vada, il passaggio sul colle della Madonna dei campioni ci sarà. Bene, ma forse è giusto ricordare che è la sua sapiente collocazione nel percorso quale sforzo selettivo prima del finale a renderlo unico; spostato a convenienza di percorsi diretti a Bergamo o a Varese, perderebbe gran parte del suo incantesimo.
Argomenti fragili? Capricci sentimentali? Forse. Non ci sembra più robusta, tuttavia, la logica di chi vorrebbe distribuire la gloria del Giro di Lombardia un po' qua e un po' là, applicando al merito sportivo una spartizione da manuale Cencelli, lottizzando perfino gli sprint e le fughe dal gruppo. Se vincerà questa nuova tendenza, allora chiederemo che venga applicata a tappeto, senza guardare in faccia a nessuno e senza defezioni dovute a buon senso, logica e opportunità, per non dire coscienza. E sarà fantastico veder disputare le Olimpiadi invernali a Sharm El Sheik.
© RIPRODUZIONE RISERVATA