L'associazione di categoria è costretta a fare i conti con un gigantesco vicino di casa irsuto, non di bell'aspetto, con una scarsa propensione all'igiene e al giardinaggio e uso a organizzare party con topi, scarafaggi ed altra fauna di discutibile lignaggio. Al danno si aggiunge la beffa. Perché questo vicino avrebbe anche ricevuto lo sfratto nel 2007. Al suo posto sarebbe dovuto arrivare una gentile, gradevole e socievole famiglia allargata. Ma di andarsene, lo sfacelo dell'ex Ticosa non ci pensa proprio. Perché nessuno sembra aver intenzione di cacciarlo via. La colpa è del padrone di casa: il comune di Como. L'unico atto concreto compiuto per il recupero dell'area, dopo la demolizione a suon di fuochi di artificio, è stata l'affissione degli ormai celebri manifesti con la dizione «impegno mantenuto».
Sulla carta, insomma, il recupero dell'area c'è stato. Ma come insegna il calcio, che vince sulla carta spesso cade sul campo. Ed è esattamente ciò che è successo al sindaco Stefano Bruni nella vicenda Ticosa. Una caduta fragorosa. Perché, ancora una volta, l'ex tintostamperia è stata il simbolo del fallimento. Del fallimento di una politica incapace di dare risposte alla comunità. Il recupero dell'ex Ticosa era l'obiettivo del primo mandato del sindaco Bruni. Siamo a pochi mesi dal termine del secondo.
Dal flop dell'ex tintostamperia, l'amministrazione comunale non ne ha più imbroccata una. La maggioranza si è sfarinata, l'opposizione non brilla per attivismo al di là delle estemporanee sortite di "Rasputin" Rapinese e di qualche iniziativa concreta ma isolata di volenterosi. E la Ticosa, incompiuta e in balia del degrado ribadisce con forza ancora maggiore la sua valenza simbolica. Il degrado è anche amministrativo. Il senso di incompiutezza, impotenza e declino si estende come una cappa sull'intera città. La reazione di Confartigianato sullo sgradevole vicino di casa interpreta anche la crisi del rapporto tra le categorie e la politica cittadina. Nel suo piccolo è qualcosa di non dissimile dalla clamorosa presa di posizione di imprenditori, banche e sindacati nazionali che chiedono alla politica un forte atto di discontinuità per evitare il baratro.
Ecco, a Como, un forte atto di discontinuità sarebbe quello di rimuovere il simbolo. Trovare una soluzione, una qualsiasi, con il solo requisito della dignità, per cancellare davvero e per sempre l'emblema della Ticosa con il suo forte carico di negatività ormai comprovato nei decenni. Magari segnerebbe l'avvio di un'inversione di tendenza rispetto al piano inclinato su cui Como continua a scivolare.
Ma non potrà essere questa amministrazione crepuscolare, divisa, ripiegata sul particulare e impotente a imprimere la svolta.
© RIPRODUZIONE RISERVATA