Bene, gli avete dato un'occhiata? Sono due immagini simbolo dello stato comatoso in cui versa questa città - la prima, una giungla sudamericana popolata di reietti e disperati; la seconda, un groviglio di ferraglie sul lungolago più bello d'Italia – che, a pelle, farebbero venir voglia non aggiungere altro, fare i bagagli il più velocemente possibile e andarsi a godere le vacanze in qualche località civilizzata. E invece da dire c'è molto. Anzi, questo è proprio il momento giusto per iniziare a parlare.
Negli ultimi giorni abbiamo raccolto la protesta accorata e sincera di alcune categorie economiche del territorio, il loro atto di accusa contro il Comune e, più in generale, contro una classe politica e amministrativa responsabile del degrado e dell'abbandono in cui versano non solo Ticosa e diga, ma anche altre zone di pregio di Como. Come ad esempio il Baradello, che solo grazie alla campagna battente portata avanti in perfetta solitudine da questo giornale sarà liberato dalle antenne abusive che qualche intelligentone aveva pensato bene di piazzare nottetempo, e senza alcun permesso, su un caposaldo della nostra storia. E il Comune non pensi di far passare troppo tempo prima di iniziare la rimozione, altrimenti ci rimettiamo lì a fare titoli su titoli fino a quando non le vediamo smantellate una a una...
Artigiani e Commercianti hanno ragione a lamentarsi, così come hanno ragione tutti i comaschi che ritengono inaccettabile un immobilismo del genere. Non hanno ragione, però, se questa denuncia dovesse declinarsi nei prossimi mesi nel più vieto, statalista e “meridionalista” lamento contro lo “Stato che non fa niente per noi”. E' vero che non possono essere i privati a finanziare gli interventi necessari per sanare la mala gestione della cosa pubblica. Quella è una competenza degli enti locali e gli enti locali se ne devono assumere la responsabilità. Ma è anche vero che se la politica locale e nazionale in questi anni, e soprattutto in queste ultime settimane, ha dato la peggiore prova di sé – che a sentire certe risibili autodifese di Bersani e Tremonti o certi assordanti silenzi del premier mentre il Paese sta andando a fondo è una roba da piangere – è proprio in giorni come questi che la città ha l'occasione per tirar invece fuori tutto il suo meglio.
Tra pochi mesi si torna alle urne per scegliere il nuovo sindaco. E' questo il momento per cambiare, per dare un colpo d'ala, una botta di fantasia, uno scatto etico, culturale, di progetto. Il momento giusto per rompere gli schemi. Siamo davvero sicuri che lo stantio teatrino centrodestra-centrosinistra con Lega da una parte e Di Pietro dall'altra pronti a sfruttare le rispettive rendite di posizione sia ancora valido, attuale e, soprattutto, in grado di progettare la rinascita della città? Non è arrivata l'ora che le migliori energie, quelle che si sono formate nella trincea del lavoro, dell'impresa, del mercato facciano finalmente emergere un nome nuovo, serio, credibile, innamorato di Como che spazzi finalmente via i vecchi equilibri presentando un piano di pochissimi punti programmatici - Ticosa, lungolago, viabilità, sicurezza, decoro urbano, verde pubblico, turismo - su cui raccogliere il consenso dei cittadini?
Un nome che non rappresenti solo gli industriali o solo i commercianti o solo gli ambienti culturali o solo i salotti o chi volete voi, ma che sia capace di interpretare gli interessi migliori, collettivi e non affaristici di tutta la città. In caso contrario, l'alternativa, considerata l'impresentabilità o il velleitarismo dei partiti legati al carrozzone della politica tradizionale, è quella di sempre: consegnare una delega in bianco ai soliti noti per scaricarsi la coscienza e poi lamentarsene un secondo dopo.
Questa non è antipolitica o demagogia, ma senso di responsabilità nei confronti di un'intera cittadinanza. Queste sono le vere primarie. Cari comaschi, guardate oltre gli steccati. Al di là della siepe un nome giusto di sicuro c'è. Basta cercarlo…
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