E si dibatte e ci si interroga ancora sull'opportunità per una città medio piccola come Como di un simile onere che non ha riscontro in realtà analoghe e si avvicina addirittura a quello di Milano che ha ben altre dimensioni.
Una città, poi, che fatica a trovare le risorse per tappare le buche sulle strade, può permettersi il lusso di un funzionario d'oro? Questa è la domanda a cui forse il sindaco dovrebbe rispondere. Si dirà che sono questioni diverse, binari paralleli della contabilità di un'amministrazione. Ma nell'immaginario collettivo è difficile non cogliere lo stridore.
Ai tempi in cui i mulini erano bianchi e molti municipi pure, sarebbe stato possibile permettersi in lusso di tenere in ufficio un segretario d'oro. Oggi è ancora così? L'impressione è che dopo le dichiarazioni di intenti sui tagli ai costi della politica, elargite nel momento in cui alle famiglie si somministrava la medicina amarissima della manovra, siano una nottata già passata. Eppure per tentare di uscire dalle sabbie mobili in cui si è infilata l'Italia bisognerebbe partire dal basso. Gli enti locali virtuosi di cui blaterano spesso a vanvera molti politici devono essere quelli che sanno tagliare gli sprechi e rinunciare al superfluo. A volte persino a una parte del necessario.
La figura del city manager a Como si inquadra da sola in questo ragionamento. Lo stesso federalismo fiscale prossimo venturo richiede un attestato di responsabilità preventiva da parte di sindaci e amministratori locali. Perché la riforma concederà loro ampie facoltà in materia impositiva, a fronte di contributi statali destinati a prosciugarsi. A cittadini è consegnata l'arma del controllo e la facoltà di non riconfermare l'amministratore poco oculato. Ma se sei costretto a subire per cinque anni lo sceriffo di Nottingham, hai voglia a consolarti eleggendo, dopo, Riccardo Cuor di Leone.
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