Non è tanto il verbo che stride (sul fatto che dorma avevamo pochi dubbi, visto l'immobilismo municipale) quanto l'aggettivo. È quel "tranquillo" che non riusciamo a digerire. L'amministrazione comunale è un disastro, la magistratura ha ben nove (nove!) inchieste che coinvolgono Palazzo Cernezzi, non c'è un'opera pubblica che non sia costellata d'inciampi e lui, il capo dei capi, è tranquillo. Dorme.
Una calma piatta, ostentata da quest'uomo colto che discetta di Seneca e Tomasi di Lampedusa, ma all'atto pratico combina poco o nulla. E quel poco o nulla lo fa anche male. Giudizio personale, per carità, avvalorato dai fatti. Che mancano. E che, mancando, lo inchiodano. Ha un bel dire Fabiano che non è colpa sua, trovando per ogni problema una giustificazione. Più alibi di noi quando eravamo chiamati alla lavagna dalla terribile insegnante di matematica, professoressa Schiavone. Una volta era la disgrazia in famiglia (almeno una trentina le zie inventate di sana pianta che nel corso del liceo abbiamo fatto ammalare e in taluni casi morire), un'altra l'impegno improvviso, un'altra ancora il libro reso dalla pioggia illeggibile, fatto sta che l'equazione scritta col gesso non tornava e il quattro sul registro era immancabile.
Il caso è identico, soltanto che Fabiano in pagella, invece del quattro, pretenderebbe il nove. Messo il punto e a capo sulla vicenda personale (con la triste annotazione che ha almeno 295mila buoni motivi per riguardarci, essendo i soldi che le casse pubbliche gli hanno lasciato in dote) è giusto trarre, dall'esempio, una morale. Due, anzi. La prima è d'ordine teorico, smontando l'idea secondo cui tutto ciò che è "tecnico" fa rima con buono, mentre la politica è mediocre. Sbagliato. I politici possono essere degli incapaci, ladri persino, ma la politica, l'arte di governare la città e di risponderne al momento del voto, è un principio validissimo, da preservare. Al burocrate che esegue un ordine preferiamo un sindaco che risponde direttamente alla sua gente. Anche perché già molto è affidato ai dirigenti comunali, da non dover sommare - anche in comuni come Como - anche la figura di un direttore generale. Del resto se nelle vicine Lecco e Varese non esiste e ne fanno a meno senza ambasce, semmai bagnandoci nel naso in fatto di buona amministrazione, qualcosa vorrà pur dire.
La seconda lezione è di ordine pratico. In città si parla già delle prossime elezioni, di chi sarà in corsa e chi diventerà primo cittadino. Noi vorremmo valutare i candidati non soltanto dalla chiacchiere, bensì dagli impegni che prendono con gli elettori. Chi prometterà di rinunciare al direttore generale, accontentandosi di un ottimo segretario comunale, avrà un punto in più, almeno nella nostra considerazione personale. Se poi, invece di dormire tranquillo, sarà un tipo capace di prendersela a cuore, di restare sveglio la notte, con il peso della responsabilità di risolvere i problemi, gli saremmo doppiamente grati.
Con i tempi che corrono, meglio una tazza di valeriana in più al segretario comunale e una pastiglia per l'ulcera in meno a tutti gli ottantamila comaschi arrabbiati.
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