Per carità, in un Parlamento che ha messo nero su bianco di credere a Ruby nipote di Mubarak, tutto si tiene. Ma Domenico Scilipoti, oggi, è anche la metafora vivente del momento di un paese trascinato a fondo da un ceto politico che non riscuote più alcuna credibilità. Il Parlamentare migrato da Di Pietro alla corte di Berlusconi è simile ai tanti frequentatori seriali di transatlantici e corridoi dei passi perduti che hanno ispirato i Vanzina e Christian De Sica. Tutti figli dell'immenso Clemente Mastella, nume tutelare dell'arte della transumanza parlamentare. È l'Italietta che si arrangia, quella della spintarella e dell'occhio benevolo che si chiude, del volemose bene, della mano che lava sempre l'altra. delle riforme che possono attendere perché altrimenti i bucatini scuciono.
In fondo fino a oggi è sempre andata bene così. Il Paese si è arrangiato, barcamenato. Finché l'economia ha avuto un bisogno residuale della politica (di certa politica, va precisato perché il codice di Camandoli è un'altra cosa, infinitamente più alta e seria del traccheggiare di questi tempi), si è tirato a campare. Adesso la realtà è cambiata. Ce lo urlano i dati che vedono le nostre imprese manifatturiere competere con in moloch tedesco. Le ali però restano piombate da uno Stato in bilico sulla bancarotta. Ecco perché la metafora Scilipoti non regge più. Come non funzionano la manovre priva di fantasia che, senza soluzione di continuità tra una Repubblica e l'altra, continuano a cavare sangue agli italiani. Va bene la tassa sul fumo. Ma che poca fantasia. Sigarette, benzina e ticket sanitari. Da decenni i nostri politici non riescono a partorire un'idea nuova, coraggiosa. Magari temeraria come quella per il recupero dell'evasione fiscale facendo tintinnare le manette. Tutti dentro finché non saldano il debito con la comunità, con buona pace dei garantisti alle vongole. Ma non accadrà finché gli Scilipoti continueranno a calpestare i palcoscenici, strizzando l'occhio a chi dimostra di essere più scavato del fisco. Perché i furbetti sono sempre trendy.
Peccato che questi modelli non reggano più. Che l'Europa e il mondo pretendano rigore nei conti ma anche affidabilità dal ceto politico. Con lo scilipotismo gli speculatori continueranno a far strame delle nostre manovrette.
Del resto con un ministro dell'economia distratto dalla doverosa sorveglianza sulla cassaforte da trame e tramette, vendette e scheletri che irrompono dagli armadi si può credere che lo cose possano andare in altro modo. E il premier, che si nasconde dietro alla pinguedine per tentare di schivare le responsabilità nel momento in cui si misura il vero statista? E quando è costretto ad affrontarla si rifugia nel solito refrain del destino cinico e baro che tanto di più non si può fare, finendo regolarmente spernacchiato dalle Borse? Così non si va da nessuna parte. Lo sa bene Napolitano, l'unico che tiene la testa fuori dal pantano ma non riesce a celare il pessimismo. Cambiare a morire è il dilemma del momento. Ammesso che non sia già tardi.
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