Buon per Shakespeare, la cui lungimiranza resiste ai secoli; peggio per noi, ai quali quattrocento anni non sono bastati per smentirlo. Curioso a dirsi, la controprova viene da Como dove, a fronte dei massicci sprechi della pubblica amministrazione (tra poco citeremo l'ennesimo caso), la ragnatela dell'etica si affanna a imprigionare prede minuscole: i pensionati. Non quelli d'oro, beninteso, piuttosto quelli - un migliaio circa - che dall'Inps percepiscono una somma vicina al minimo necessario per la sopravvivenza: diciamo 800 euro al mese. Che cosa può volere l'Inps da loro? Denaro, naturalmente. Una somma erogata nel 2008 a titolo di "quattordicesima" e che, a seconda dei casi, variava dai 336 ai 504 euro. «Tale importo - specifica ora l'Inps - era stato determinato in via provvisoria, in attesa delle necessarie verifiche reddituali». Ciò premesso, l'Inps provvede a trattenere a rate (salvo una proroga concessa in questi giorni) l'importo erogato, quasi senza lasciare tempo ai pur agili pensionati di provvedere da sé a fornire le «necessarie verifiche reddituali».
Nel frattempo, in un'altra parte della città (come si legge nelle cattive sceneggiature) emerge la notizia che per un incompiuto concorso di idee sul progetto delle paratie, il Comune ha speso 500 mila euro. Sarà pure scorretto e demagogico accostare fatti che non sono parenti ma due considerazioni, almeno, sembrano lecite. La prima è per rilevare come sia una fortuna che, nella faccenda delle paratie, siano circolate delle idee: altrimenti chissà che schifezza veniva fuori. La seconda è che di erogazioni aggiuntive dell'Inps, in 500 mila euro, ce ne stanno, a seconda dei casi, 1488 o 992: più o meno quante ne vorrebbe recuperare l'Istituto previdenziale.
Anticipiamo le obiezioni: l'amministrazione pubblica non è un problema di terza elementare, le due operazioni non sono raffrontabili, senza contare che Inps e Comune di Como non si conoscono neppure di vista e non possono certo bilanciare i bisogni di uno con gli sprechi dell'altro e viceversa. Tutto giusto, se non che, a noi, resta la sgradevole impressione di un sistema che consente a uno spreco da mezzo milione di sfondare la ragnatela dell'etica mentre la stessa rete, appiccicosa, avviluppa e intralcia la vita di mille anziani signori che, di certo, non nuotano nell'oro. Resta anche il desiderio, per non dire l'urgenza, che il sistema venga rettificato: per il suo stesso bene, per la credibilità e l'equilibrio di cui ha bisogno nel momento in cui impone sacrifici al Paese.
Non è più accettabile che il sistema pubblico tradisca ambiguità e disparità di trattamento: sia nel delicato territorio dei privilegi della casta, sia in quello, raccapricciante, degli sprechi senza colpevoli e senza conseguenze. A chi si chiede di tirare la cinghia va mostrato rispetto; a chi gestisce il pubblico bene con superficialità deve invece essere chiesta ragione. Non si tratta di utopia, ma dell'unica strada per venirne fuori. In fondo, l'unica controindicazione sarebbe quella, certo devastante per la cultura, di rendere Shakespeare un po' meno attuale.
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