Vien da dirgli: caro Vasco, in fondo sei vittima del tuo mestiere. Ancora di più: non sei mai stato parte del rock come quando eri depresso. Una canzone rock - di quelle ben fatte, ovvero fatte con il male di vivere - canta sempre e soltanto di depressione. È inevitabile che per primi vengano in mente i morti. Di che cosa cantavano, se non di depressione, Jim Morrison, Janis Joplin, Jimi Hendrix? Meglio ancora: da quale luogo cantavano costoro se non dal profondo della depressione, intesa come incapacità di accettarsi, di dominare un ego ipertrofico, di essere come gli altri e dagli altri sentirsi amati?
Abbiamo citato artisti che, oggi, sembrano dei predestinati alla prematura fine dei loro tormenti e accanto a loro potremmo aggiungere altre figure di dannati della psiche come Ian Curtis, Nick Drake, i nostri Luigi Tenco e Piero Ciampi. Tutti artisti perseguitati e infine ghermiti da implacabili fantasmi personali. Ma anche nell'altro rock, quello all'apparenza più spigliato, si distinguono le inconfondibili tracce della depressione. John Lennon, negli anni della "beatlemania" scrisse e pubblicò una canzone intitolata «Help!» («Aiuto!»): nessuno, nel delirio festante del suo successo, volle comprendere la portata del messaggio.
Tutto ciò dimostra una stretta correlazione tra la depressione e il rock, ma non fa della depressione una malattia circoscritta all'arte, a certe sensibilità acute, ai cavalieri pallidi bisognosi d'affetto e di popolarità. Al contrario, prova che sono proprio gli artisti vicini al sentimento popolare a sentire il bisogno, qualora vogliano spingersi oltre gli scontati confini dell'amore romantico, di raccontare certe inquietudini comuni tra i giovani, quei conflitti irrisolti che, trascinati fino all'età adulta, finiscono per aggrovigliarsi, incupirsi e sbarrare all'apparenza ogni via d'uscita.
Fa impressione scoprire che un artista amato come Vasco Rossi sopravviva in un equilibrio precario garantito soltanto dalla somministrazione dei farmaci. E non è giusto individuarne le radici in un ostentato trascorso fatto di eccessi: come i suoi fan, più dei suoi fan, Vasco Rossi dichiara una fragilità fatta di slanci ingenui, rabbie purissime e un infinito bisogno di essere compreso e amato. Il che, in fondo, è malattia comune a tutti noi, privilegiati e dannati in questo soffice e qualche volta soffocante mondo contemporaneo. Un tormento che andrà a spegnersi - è dura ammetterlo - solo quando la canzone sarà finita.
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