Naturalmente è vero (è ovvio) che una riforma delle pensioni aiuterebbe. Eccome, se aiuterebbe. Soprattutto avrebbe aiutato se il varo fosse avvenuto nel tempo giusto. Nel modo giusto. Con l'equità giusta. Una sincronizzazione sconosciuta, in un Paese sempre fuori passo e misura e armonia.
Ci sono statali che godono da un'eternità dell'assegno di quiescenza ricevuto dopo diciannove anni, sei mesi e un giorno di lavoro. Ci sono parlamentari che scaldano lo scranno per uno scampolo di legislatura e si assicurano un vitalizio doppio rispetto a quello d'un impiegato fedele al lavoro aziendale per decenni. Ci sono consiglieri regionali titolari del medesimo privilegio, e senza dar cenno di vergogna per una così singolare prodigalità. Ci sono manager e supermanager liquidati a peso d'oro dalle aziende di Stato, e dai lavoratori dello Stato - cioè da tutti noi - gratificati di mensilità onerose al punto che una di esse basterebbe alla sopravvivenza annuale d'un anziano del ceto medio basso.
Ci sono quelli che fanno un mestiere, poi ne fanno un altro (spesso è un mestiere politico o affine alla politica), e mentre si esercitano nel secondo ben si guardano dal non esercitare il riscatto dell'indennità di fine rapporto del primo.
Ce ne sono altri, di beneficati. Molti altri. E non è qui il caso di stenderne l'elenco. E' invece il caso d'annotare che il monito più severo e la sferzata più intransigente vengono da loro. Come se quella dei pensionandi rappresentasse un'ipotizzabile casta contro la quale combattere una guerra preventiva, e come se non apparisse strano che a suonare il corno di battaglia fosse un'altra (non ipotizzabile: reale, realissima) casta di pensionati.
E così ci tocca - tra il tanto di amaro procuratoci da queste grame giornate - d'ascoltare lussuose prediche sul lusso del ritiro dal lavoro. Perché sarebbe un lusso, la restituzione di quanto si è dato, e secondo la tempistica convenuta. E non lo sarebbe invece, in una ragionevole e dignitosa scala di priorità del risanamento finanziario, la sopravvivenza d'uno Stato (d'una sterminata famiglia statale, allargata a ogni periferia e sottoperiferia del potere) incline allo spreco, al profittamento, alla diseguaglianza. La sopravvivenza di enti costosi e inutili, se non come discariche di politici trombati. La sopravvivenza di stipendi di prim'ordine a funzionari di quart'ordine. La sopravvivenza di consulenze pingui agli amici degli amici degli amici. La sopravvivenza di un'idea di bene comune che col bene ha in comune solo il proprio interesse.
E' quest'idea, che purtroppo non dà segno di voler andare in pensione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA