La nostra Como deve molte delle sue fortune alle bellezze naturali e ambientali di un luogo riconosciuto e apprezzato in tutto il mondo non solo per gli echi di moderne celebrità che vi hanno trovato dimora ma per il fascino e l'attrazione che hanno suscitato nei secoli in tanti personaggi della cultura mondiale che hanno amato e si sono ispirati a questo lago. Una risorsa e anche un impegno per i suoi cittadini, chiamati non solo a goderne la bellezza e i frutti di tanta celebrità, ma anche ad esserne osservanti e lungimiranti custodi.
Un patrimonio di così tanto valore non poteva essere disperso o trascurato e infatti i comaschi che si sono succeduti nel tempo nell'abitare questo meraviglioso luogo lo hanno mantenuto nella sua originale estetica consegnandolo di generazione in generazione a noi che lo abbiamo ricevuto come tesoro prezioso.
Gli amministratori e i politici di questa città hanno quindi una responsabilità enorme nel rispondere della gestione e del destino di questo immenso bene che non appartiene a loro e neppure è proprietà esclusiva dei comaschi ma possiamo pensare che sia divenuto e sia riconosciuto come patrimonio dell'Italia e di tutta l'umanità. Ne abbiamo avuto conferma, ed è questa probabilmente la ragione di una così forte risonanza mondiale, in occasione delle spiacevoli polemiche per la costruzione del muro che minacciava la visione del lago, la sua conservazione e la sua inconfondibile originalità. Tanto clamore per quel muro hanno portato l'attenzione di molti a concentrarsi sul nostro lago e sulla sua fruibilità fino a convincere gli amministratori, in primo luogo quelli regionali, sulla necessità di abbattere il manufatto invasivo.
Qualcosa di ancora più grave con conseguenze decisamente negativa rischia di abbattersi sulla nostra Como se il crac Sacaim comportasse il fermo cantiere per chissà quanti anni a venire. Un lungolago trasformato in un cantiere incompiuto con tanto di palizzate a limitare visione e accesso segnerebbe una sconfitta, oltre che dei politici e degli amministratori, dell'intera città. Tutta la società comasca è responsabile di questo patrimonio naturale che ne costituisce il tratto essenziale e insostituibile senza che Como possa più chiamarsi Como. Grave cosa sarebbe l'aggiungersi di un ulteriore emblema dell'incapacità e del disinteresse degli amministratori per questa città al trentennale simbolo dell'immobilismo costituito dalla Ticosa con il fallimento recente delle iniziative per il suo recupero.
Non possiamo tollerare l'idea di un lungolago trasformato in un cantiere dove i lavori non sono più in corso e la cui fine non si riesce più a intravedere. Serve uno scatto d'orgoglio e d'amore per Como. Pensiamola con l'affetto delle parole che Saba dedicò alla sua Trieste («La mia città che in ogni parte è viva...») perché non perisca fra tristi macerie. Come ci giudicherebbero altrimenti i nostri contemporanei e soprattutto le future generazioni?
Antonio Spallino
© RIPRODUZIONE RISERVATA