Naturalmente, prima di dire certe cose un ministro dovrebbe contare fino a cento e poi dovrebbe pensare di non essere un ministro qualunque, ma il ministro Calderoli, e riprendere a contare almeno fino a mille, perché non è pensabile variare le aliquote in base all'indignazione del momento né tantomeno disegnarne alcune su misura per specifiche categorie di cittadini, per quanto privilegiati e frignoni. Eppure, la sparata del rubizzo alfiere leghista un bersaglio lo ha centrato: i calciatori - perché di loro si tratta - devono smetterla di considerarsi abitanti di un altro pianeta e pensare che sia consentito di lasciare il conto da pagare. In altre parole, bisogna si rendano conto che il primo tempo è finito e che il secondo si annuncia molto più difficile.
Ciò detto, non si può continuare nel ragionamento senza introdurre un pizzico di onestà. È infatti legittimo prendersela con i privilegi (la Casta e affini), è giusto richiamare a concrete responsabilità chi vive nella bambagia (calciatori e altri sportivi miliardari, campioni in spettacolari discipline quali il salto del Fisco e l'espatrio contributivo) ed è sacrosanto pretendere dai detentori di grandi capitali contributi proporzionati al loro crasso benessere, ma sarebbe ancor più legittimo, giusto e sacrosanto riconoscere che, in scala minore, i vizi di tutti costoro riguardano anche noi.
Nell'ostinazione dei calciatori a rovesciare sui club il contributo di solidarietà - un balzello iniquo quanto può esserlo il prodotto di un governo disperato, ma non per questo meno dovuto in ossequio alla legge che tutti ci fa uguali - c'è l'allegoria di un Paese il quale, dopo aver vissuto anni al di sopra delle sue possibilità, fatica a convincersi che il vento è cambiato e che qualche passo concreto in direzione di un regime più sobrio va senz'altro mosso. A parole tutti riconosciamo la necessità di tagli e sacrifici, nella pratica tutti aspettiamo che siano gli altri a farsene carico. Proprio come i calciatori, arroganti e distaccati al punto da dare per scontato che loro - coccolati per contratto da un Paese adorante - non debbano preoccuparsi di pagare perché tanto qualcuno lo farà per loro. Della stessa inerzia, sintomo di una profonda pigrizia e di una sconsolante debolezza morale, soffriamo in proporzione un po' tutti, restii a rinunciare a privilegi piccoli e meno piccoli, a costose abitudini, a sprechi consistenti e a comodità ormai considerate acquisite. Come i calciatori, siamo quelli che neppure concepiscono l'idea di usare un autobus invece del Suv, di spegnere la luce quando lasciano una stanza e di rimettere quest'inverno il cappotto indossato l'anno scorso o - giammai! - due anni fa. Peggio ancora, siamo quelli che ci rimarranno male se la nostra squadra del cuore non farà un'offerta al Barcellona perché "ci compri" Messi.
La verità è che Messi sarà meglio rimanga dov'è, che i suoi colleghi in Italia paghino il contributo di solidarietà e che noi, invece di fare i tifosi, incominciamo a giocare sul serio la partita, consapevoli che non potranno essere altri a vincerla per noi.
Mario Schiani
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