Bisogna dire, tuttavia, che a sconfiggerlo dopo sei mesi di alterni combattimenti, è stata più la Nato dell'esercito ribelle, mettendo fuori combattimento le armi pesanti del colonnello, e più i miliziani berberi scesi dalle montagne a sud della capitale che gli sgangherati reparti messi in campo dal Comitato provvisorio di Bengasi in Cirenaica (e bloccati dai lealisti a Brega). Senza le 7.459 sortite degli aerei atlantici - che, sia detto per inciso, hanno largamente travalicato le direttive della Risoluzione 1973 - uno sfondamento così rapido non sarebbe stato possibile. Gli stessi Stati Uniti, che da alcune settimane si erano un po' defilati, hanno gettato nelle ultime 24 ore sulla bilancia tutto il peso della propria aviazione.
L'Occidente deve ora amministrare la vittoria, cercando di impedire che la presa di Tripoli si trasformi in un massacro dei sostenitori del Rais o nella distruzione di ciò che resta della città; ma conciliare le rivendicazioni delle varie tribù - scese in campo con obbiettivi spesso diversi e non tutte ostili al colonnello - sarà assai complicato. Quarantadue anni di Jamahyria hanno fatto sì che in Libia manchi una società civile capace di sostituirsi al regime e molti degli insorti non sono che ex gerarchi di Gheddafi scesi dalla nave prima che colasse a picco, di perlomeno dubbia affidabilità.
Fondamentali saranno naturalmente gli orientamenti di politica estera dei successori del colonnello. A riconoscere il Comitato transitorio sono stati , più o meno in quest'ordine, Francia, Gran Bretagan, Italia, Stati Uniti. Emirati, Qatar, Kuwait e alcuni altri Paesi musulmani che avevano pendenze aperte con il Rais. Si spera che la decisione del nostro governo di puntare abbastanza presto sul Comitato transitorio e la nostra (controversa) partecipazione alle incursioni serva a mantenere almeno in parte l'eccellente rapporto che avevamo con l'ultimo Gheddafi e soprattutto a preservare i nostri interessi petroliferi, sicuramente insidiati da francesi e inglesi. Il balzo compiuto ieri dalle azioni dell'Eni lascia bene a sperare, ma l'operazione è ancora in una fase estremamente fluida.
Sarà anche interessante vedere come il governo che emergerà riuscirà ad inserirsi nel filone della primavera araba, giustificando così, almeno di fronte all'opinione pubblica mondiale, il pesantissimo intervento militare occidentale in un Paese arabo. Ma gli interrogativi sono tanti. Come riuscirà a organizzare elezioni credibili in un società ancora tribale, percorsa da antichi rancori, in cui i partiti rimangono un concetto astratto e che non ha mai sperimentato la democrazia? Come riuscirà a contenere la sua componente islamista, che finora si è mantenuta abbastanza sottotraccia ma che senz'altro approfitterà della caduta di Gheddafi per riempire tutti i vuoti. Come, soprattutto, riuscirà ad imporre la legge e l'ordine, senza potere disporre di truppe occidentali sul terreno, ed impedire che i giganteschi arsenali del colonnello, pieni di armamenti sofisticati, cadano in mani infide (vedi, soprattutto, Al Qaeda nel Magreb)?
La occupazione, peraltro ancora incompleta, di Tripoli, non conclude perciò la vicenda libica; al contrario, proprio adesso potrebbero venire i momenti più difficili.
Livio Caputo
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