Per un po' era andata bene al Partito democratico. La babele del centrodestra sulla manovra aveva fatto cadere nel dimenticatoio il caso Penati e elevato Bersani quasi al rango di un Quintino Sella con le sue proposte correttive dei provvedimenti ideati da Tremonti. Ma dato che le disgrazie sono sancite nello statuto del Pd ecco riemergere l'imbarazzante vicenda dell'ex portavoce del segretario nazionale e dirigente di primo piano del partito al Nord.
Fin quando non sono state note le indagini sulle presunte mazzette circolate a Sesto San Giovanni, città di cui è stato sindaco, Penati era considerato uno degli arieti con cui il Pd tentava di far breccia nel Nord monopolizzato da Lega e Pdl.
Quando un partito porta la disgrazia nella sua ragione sociale, però, farebbe bene a non andare a cercarne altre. Ora che sono emersi altri clamorosi dettagli relativi al "compagno P", tra cui quello per cui è sfuggito all'arresto solo grazie a una berlusconianissima prescrizione, è difficile non evidenziare come sia mancato un po' di coraggio tra i dirigenti nazionali del Pd nel prendere in mano la faccenda fin dall'inizio.
Se si vuol emulare la moglie di Cesare e prendere le distanze da un centrodestra sicuramente più disinvolto a proposito di legalità, bisognerebbe preoccuparsi di stare al di sopra di ogni sospetto. Magari, alla fine dell'inchiesta, emergerà la totale innocenza di Penati. I sospetti però ci sono e pesanti. Non ultimo quello di aver tentato l'inquinamento delle prove attraverso una passeggiata al riparo da orecchie indiscrete con il costruttore Pasini, uno dei suoi accusatori. Un comportamento che secondo il pm che indaga sulla vicenda equivale a quello di un «delinquente matricolato».
Neppure di fronte a questi elementi Bersani ha finora battuto ciglio. Ci ha dovuto pensare lo stesso Penati a tentare di tutelare l'immagine del partito autosospendendosi dal Pd e dal gruppo in consiglio regionale. Un bel gesto che potrebbe essere migliore se magari fosse accompagnato dalla sospensione dei ricchi emolumenti percepiti per la carica.
Come poi Penati possa affermare, di fronte alle manette evitate solo per l'interpretazione della legge da parte del gip, che i suoi accusatori risultino screditati è un bel mistero.
Il Pd sulla vicenda si è subito diviso. Da quelle parti, del resto, non aspettano altro che dividersi su qualche cosa. Qualcuno sostiene che Penati non deve più avere incarichi nel partito fino a quando non sia provata la sua totale innocenza. Altri come il segretario lombardo Maurizio Martina, sposano la linea della prudenza. Come detto ci ha pensato l'ex sindaco della "Stalingrado d'Italia" (ahi, i simboli) a togliere tutti dall'imbarazzo mettendo provvisoriamente in naftalina l'uniforme del partito. Lo sfregio all'immagine del Pd e le inevitabili ricadute elettorali al Nord però restano.
Rischia di avere conseguenze sul centrosinistra anche la scelta di un altro esponente milanese di primo piano, il sindaco Giuliano Pisapia che, secondo quanto denunciato da alcuni dei suoi sostenitori avrebbe assunto a palazzo Marino, otto persone esterne provenienti dal giro dei partiti e comitati che l'hanno eletto. Uno spoil system di morattiana memoria con buona pace dei tagli e dei sacrifici imposti dalla manovra.
Forse si tratta di una tattica del centrosinistra: conquistare il Nord emulando il centrodestra. In questo caso Berlusconi e Bossi potranno continuare a dormire sonni tranquilli senza rischiare di cadere dal letto.
Francesco Angelini
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