Chi tocca il calcio muore, chi lo ferma è perduto, e anche a chi non ha nel calcio la sua fede tocca capirlo, si sfiorino gli interessi di chi vive di calcio e si viene inceneriti. Ma è importante subito una precisazione: chi vive di calcio? Sono le società calcistiche, i calciatori, i tifosi e il mega indotto che gira attorno al pallone: dalla sciarpa misto sintetico, al capo firmato, ai bilanci di imprenditori che all'improvviso s'innamorano del calcio, al panino con la salsiccia fuori dallo stadio. Accidenti, ma allora è pericoloso e difficile parlare di calcio, eppure tutti, ma proprio tutti, lo fanno senza tenere conto della difficoltà dell'argomento che muove milioni di euro e di persone. E se tutti parlano di calcio, il rischio di fare confusione e sterili chiacchiere è alto. Già, ma forse questa è l'essenza stessa del gioco. Ad ogni modo, a un giorno dalla conferma dello sciopero dei calciatori il messaggio che passa è: scioperati e sfaticati, il primo termine forse va meglio, guadagnano (i calciatori) una valanga di soldi e, mentre l'Italia affonda, loro non vogliono pagare le tasse (in questo caso il contributo di solidarietà)! Vadano a lavorare! Vergogna! Oh, che bello, si litiga e qualcuno gode. Godrà Brunetta, così non si sente solo quando tuona contro i disoccupati, Calderoli che si abbandonerà soddisfatto sulla poltrona dalla quale aveva minacciato di quadruplicare la tassa qualora i calciatori non pagassero il dovuto, Tremonti che mette un punto in tasca e le società calcistiche fanno bella figura quando dicono che i giocatori vogliono il netto, le tasse le paghino i presidenti. Ecco, chi non gode sono i tifosi. Loro imprecano e quelli veri non sono contenti, forse delusi, ma comunque innamorati e pronti al perdono. Ok, ma qualcosa non quadra. Io non ho capito un po' di cose di questo sciopero, che mi dicono fittizio perché la giornata di gioco verrà recuperata. Ho capito però che c'è voglia di confondere le acque perché qualcuno ci guadagni. Non ho capito invece perché le società sostengono che i calciatori scioperino per non pagare il contributo di solidarietà (dovuto da chi supera i 90 mila euro lordi al mese) quando Damiano Tommasi, presidente dell'Associazione italiana calciatori (Aic) dice che lo sciopero è per il mancato rinnovo del contratto collettivo dei calciatori che parificherebbe i diritti di tutti i calciatori dal più scarso alla star (quello attuale, così s'intende, permetterebbe alle società di gestire il parco atleti in modo utile per i bilanci). Chi ha ragione? E perché in altri sport, tipo il basket, non si sciopera e non si mette in dubbio il pagamento del contributo? Certo, nel basket gli ingaggi sono più bassi, ma c'è chi pagherà. È credibile che i calciatori strepitino tanto per una manciata di euro? Qualcuno dica come stanno davvero le cose. In Italia ci si ostina a mescolare nell'acqua torbida urlando che la si vuole pulita. Possibile che non si possa finalmente pulire anche lo sport, i contratti gonfiati, i bilanci zoppi che restano impuniti, i calciatori bizzosi? No, non si può perché lo sport, e il calcio in particolare, è lo specchio di una grossa fetta d'Italia, demagogica e populista volutamente pasticciona perché nella confusione c'è sempre qualcuno che ci guadagna. Ed è più facile riempire le pance che le teste. Più facile avere il consenso della gente che attacca i giocatori, a volte con ragione, che spiegare bene cosa sta succedendo e quanto sporco c'è ancora da eliminare. Non è onesto.