Lascia comunque il tempo che trova l'idea di recuperare risorse ricorrendo (anche stavolta!) alla lotta all'evasione, dato che anche con le migliori intenzioni è impossibile anticipare l'esito di tali iniziative. Per giunta, i mercati non vogliono un incremento delle entrate, ma semmai una riduzione dell'intervento dello Stato. Non solo il Paese avrebbe tutto da perdere da un'ulteriore militarizzazione della frontiera italo-svizzera o da un'amministrazione tributaria ancor più occhiuta, ma è pure improbabile che una simile strategia produca risultati positivi.
Adesso molti scommettono che la manovra verrà rattoppata grazie a un innalzamento della pressione fiscale. Da più parti si dà infatti inevitabile l'aumento dell'Iva, che pure è un'imposta ben poco trasparente, dato che è collegata a ogni pagamento, senza che per il contribuente ci sia la possibilità di conoscere quanti soldi egli versa ogni anno allo Stato. Eppure ognuno dovrebbe poter sapere ciò che dà e ciò che riceve: in modo da poter giudicare i governanti con piena consapevolezza.
Se la manovra è nel caos, ad ogni modo, è perché manca una sincera intenzione di ridimensionare la sfera pubblica. Le proposte avanzate dai principali attori in campo - da Berlusconi a Tremonti, da Bersani a Bossi, da Casini a Di Pietro - sembrano ignorare che l'Italia non cresce da un decennio soprattutto a causa di un settore pubblico esorbitante e che intralcia in innumerevoli modi il mondo produttivo. Per giunta, ogni politico appare interessato unicamente a curare il proprio elettorato, senza distinguere tra libertà e privilegi, tra diritti e favori. Ogni beneficio ottenuto nel passato da questa o quella categoria diventa una conquista da non discutere, anche se sbarra la strada alle nuove generazioni e nega opportunità di crescita.
Sul piano politico, la confusione di queste ore attesta pure la debolezza del premier. Ma tale situazione discende anche dal fatto che, volendo piacere a tutti, Berlusconi ha finito per non avere un'identità politico-culturale. E a questo punto non dobbiamo stupirci se la manovra allo studio è costantemente esposta a innumerevoli ipotesi di modifica e ripensamento, in ogni direzione.
Il premier adesso si lamenta e si mostra irritato. Ma non avendo mai voluto lanciare un chiaro progetto liberale, basato su privatizzazioni e liberalizzazioni, è fatalmente costretto a fare i conti con alleati e ministri che, come lui, seguono logiche di corto respiro all'insegna di un pragmatismo volto a curare gli interessi di questa o quella lobby. E chi è causa del suo mal, pianga se stesso.
Carlo Lottieri
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