È in crisi la finanziarizzazione dell'economia che per più di un decennio ha prodotto denaro dal denaro e ha lasciato ai margini il manufatturiero che crea ricchezza della trasformazione e dalla vendita delle merci. La finanziarizzazione è stata portata agli eccessi nel capitalismo anglossassone che ha sacrificato le fabbriche per far posto a banche e assicurazioni. E le altre economie avanzate sono andate a ruota, con l'eccezione della Germania che con la Cina è rimasta la fabbrica del mondo. L'Italia ha difeso il suo manufatturiero che ha consentito al nostro sistema di difendersi meglio di altri (tipo la Spagna) e di restare, malgrado tutto, tra i maggiori esportatori mondiali.
Ora la fabbrica del denaro è in crisi. I mercati cadono, le distorsioni, amplificate dalla speculazione, dei debiti sovrani fanno vacillare le economie di Europa e Usa. E tutto un modello economico mostra crepe ogni giorno più ampie. In questi anni, la finanza si è affidata a fisici e matematici per costruire strumenti e modelli che dovevano cancellare i rischi e moltiplicare i rendimenti. Con quali risultati lo abbiamo visto allo scoppio della crisi dei mutui sub prime americani che poi ha contagiato tutto il mondo. È bastato il passaggio di un solo cigno nero per far saltare modelli matematici che sembravano inattaccabili. E la crisi finanziaria è diventata recessione economica per le strette connessioni che legano settori, mercati e paesi. L'industria ha visto cadere gli ordini e con essi fatturati e utili, con conseguenze sulla quotazioni azionarie, cadute dei listini e ulteriori conseguenze su redditi e consumi.
La finanziarizzazione dell'economia ha prodotto guasti anche nei sistemi sociali. Mai c'è stato un divario così ampio tra i redditi dei top manager e i salari degli operai: oggi siamo nell'ordine delle tre-quattrocento volte in più. Negli anni '80, questo rapporto era di uno a quaranta, e negli anni precedenti il rapporto era ancora più basso. E per effetto di finanziarizzazione e globalizzazione sono peggiorate le condizioni di lavoro. Oggi i manager dell'industria puntano ai risultati immediati e guardano agli effetti che le loro decisioni hanno sui corsi azionari. Così le fabbriche che non guidano le graduatorie della produttività e della redditività vengono chiuse e trasferite altrove. E i lavoratori diventano disoccupati, con effetti depressivi sui consumi, sui mercati delle economuie avanzate (senza considerare i drammi sociali e individuali che queste decisioni comportano).
Questi sono solo alcuni dei possibili esempi della presenza sempre più invasiva della finanza e dei suoi modelli, anche comportamentali, nei meccanismi che regolano le economie avanzate. Oggi con i mercati in caduta, la finanziarizzazione mostra gli effetti distorsivi che ha prodotto. La domanda - che forse è senza risposta - è: possiamo ancora tornare indietro? E gli uomini e le istituzioni che prosperano in questo modello economico consentiranno di smantellare - magari solo con l'introduzione di controlli più serrati - almeno parte degli attuali meccanismi? Domande per il futuro, per l'immediato futuro.
Gianluca Morassi
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