Le motivazioni con cui la Cassazione ha gettato via le chiavi della cella in cui sono rinchiusi i «gretti», rancorosi e violenti coniugi della corte di via Diaz sono più di una sentenza di colpevolezza. Sono un fiume d'acqua che vuole spegnere, una volta per tutte, il fuoco delle polemiche, dei sospetti, dei misteri, dei dubbi a cui troppi si sono prestati nel ruolo di megafono. In troppi, di fronte al dito che indicava la luna, hanno guardato il primo ignorando la seconda. La motivazione dei giudici della Cassazione non lo dice con queste parole, ma a una lettura complessiva della sentenza avrebbe anche potuto farlo. Perché, pure per la più alta carica della magistratura, questo è quanto successo: si è voluto a tutti i costi trasformare particolari ininfluenti in suggestive prove di un'inchiesta additata a torto come sciatta, sbagliata, a senso unico. E si è voluto ammantare di verità assolute le «evanescenti» ed «incerte» ricostruzioni alla Csi offerte dal professor Torre (il super esperto della difesa) e dal suo pool.
Leggiamole le parole dei giudici della Cassazione: «I singoli argomenti difensivi non hanno avuto la forza di intaccare la solidità dello zoccolo su cui è stata ricostruita la dolorosissima vicenda». Perché di fronte a confessioni chiare, convergenti e piene di particolari inediti e conosciuti dai soli assassini, di fronte ad ammissioni di colpa riportate in appunti manoscritti e in lettere, di fronte alla testimonianza di un teste oculare e alla presenza di una chiara prova ematica, a nulla valgono i «superflui richiesti (dalla difesa ndr) approfondimenti istruttori che non avrebbero potuto aggiungere nulla di decisivo, in un quadro già delineatosi secondo direttrici di sicuro riferimento».
Punto. Ecco quello che ci aspettiamo ora sull'intera storia: un definitivo ancorché doloroso punto conclusivo. Vorremmo davvero, a quasi cinque anni da quella maledetta sera d'inverno, poter smettere di scrivere della strage di Erba.
Punto e basta, dunque. Così che la si finisse, una volta per tutte, di torturare con lo strazio del ricordo e dei sospetti la famiglia Castagna, Mario Frigerio e i suoi figli. Basta, anche per i due assassini. Che una volta per tutte, come richiesto da papà Castagna, si rendano conto, confessino almeno a loro stessi e si incamminino sulla strada della presa di consapevolezza dell'enormità di ciò che hanno fatto.
Punto, infine, su questa nuova moda di trasformare un delitto atroce in un argomento da bar stadio, sul quale chiunque può emettere una sentenza basandosi su sensazioni, illazioni, suggestioni. La Giustizia è una cosa differente. Per fortuna.
Paolo Moretti
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