Man mano che la sfiducia dei mercati montava, la politica si è messa in moto e ha tentato una reazione, a partire dal decreto del 13 agosto tuttora in discussione. Solo che questa reazione è apparsa confusa, inadeguata (e i mercati stessi non danno tregua) e male indirizzata.
Il governo ha scelto di puntare tutto e sempre più sull'aumento del prelievo e sulla cosiddetta lotta all'evasione; le poche e scarne iniziative pro-crescita sono presto state neutralizzate o eliminate. In tale contesto, purtroppo, il centrosinistra (a partire dal Partito democratico) non ha incalzato l'esecutivo, ma ha tentato in ogni modo di annacquare la manovra.
Se da destra arrivava un colpo alla botte delle province (ancora una volta salvate), da sinistra non mancava la martellata al cerchio della revisione del licenziamento (con tanti saluti alla flessibilità del lavoro). Se da nord si è disinnescato l'aumento dell'età pensionabile, da sud si è posto il veto sui tagli agli enti locali. Più che un fare, insomma, è stato un disfare, mentre sullo sfondo il paese sprofondava.
Tutto ciò ha prodotto il risultato paradossale di ieri: nell'assenza totale di una credibile alternativa all'armata Brancaleone del premier, i cittadini hanno scelto l'unica opzione disponibile, cioè, appunto, il sindacato di Susanna Camusso. Se tale adesione fosse male interpretata, si rischierebbe di curare il malato propinandogli del veleno: cioè più rigidità nelle relazioni industriali, più tasse (la Cgil è in testa al corteo pro-patrimoniale), meno concorrenza. La scommessa vinta dalla Camusso è soprattutto quella di un profondo rigetto dell'ammuina politico. A questo punto, è davvero necessario che qualcosa si muova, se non vogliamo lasciar stringere ancor più i lacci che ingabbiano il paese e che finiranno per affondare quella che, neppure tanto tempo fa, era la zona più ricca, dinamica e produttiva d'Europa.
Carlo Stagnaro
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