Non prendetevela con la povera inglesina. Prima di giudicarla una snob, provate a rispondere a una domanda semplice semplice. Se non da prima elementare, al massimo da prima media. Può funzionare un governo senza premier o un giornale senza direttore? Si direbbe di no. Allora come si può pensare che una scuola vada avanti senza preside? Eppure, nella sola provincia di Como, ben 24 istituzioni scolastiche - dalle quali dipende un totale di circa cento plessi - sono acefale. Un problema cui il ministero ha messo una pezza, ispirandosi evidentemente al detto popolare «mal comune, mezzo gaudio». Sì, perché ora, e solo dopo una serie di contestazioni e rettifiche, sono 48 le scuole con un "difetto" al vertice: quelle che il dirigente non lo avevano e quelle costrette a "prestare" il proprio.
In altri tempi gli studenti si sarebbero fregati le mani, quando il preside era "l'uomo nero" evocato dalle insegnanti per sedare gli spiriti più ribelli. Ma oggi il suo ruolo è, o almeno dovrebbe essere, un altro, ben più complesso e impegnativo: un manager capace di conciliare la cassa (sempre più vuota) con le esigenze formative (sempre più elevate) e le emergenze sociali (quotidiane e imprevedibili) che "pesano" sulla scuola.
Una persona in grado di inventare qualcosa per sopperire ai finanziamenti che da Roma non arrivano più. E non parliamo di spiccioli, bensì di 12 milioni di crediti maturati complessivamente dagli istituti comaschi.
Se si vuole arrivare vivi, e soddisfatti, al prossimo giugno, bisogna rimboccarsi le maniche, stabilire patti chiari, e sinergie forti, tra scuole, enti locali e i sempre più numerosi comitati dei genitori. Puntando ai grandi obiettivi (un computer per ogni alunno) senza perdere di vista le minutaglie (chi porta la carta igienica?).
Certo che per fare tutto questo sarebbe utile che da Roma mandassero, se non i soldi, almeno dei segnali di lucidità. E invece, mai come all'inizio di questo anno, la scuola è sembrata «una gabbia di matti». Non soltanto all'insegnante piovuta da Londra, ma a qualunque persona estranea al sistema che si fosse trovata, come lei, ad assistere alle nomine dei docenti avvenute nei giorni scorsi alla «Ripamonti».
Centinaia di convocati per un numero di cattedre nettamente inferiore, e sempre incerto fino all'ultimo momento. Dal cortile dell'istituto si sentivano strepiti e grida come a un mercato del pesce. Dentro, a coordinare le operazioni, la vice dirigente (per fortuna preparata) di un ente di cui nessuno più sa il nome (un tempo provveditorato, poi Csa, Usp, Ust... oggi At, ambito territoriale, sic), anche lei lì a sostituire un dirigente part-time, prestato da Varese, che a sua volta rimpiazza una titolare comandata all'Inpdap. Se vi siete persi nelle sigle, non importa. Fatevi una risata (amara): questa è la burocrazia che diventa barzelletta.
Una domanda l'abbiamo fatta noi all'inglesina: da voi gli insegnanti come vengono assunti? Con un colloquio da parte del Board of governors, corrispettivo del nostro Consiglio di istituto ma con poteri da Consiglio di amministrazione. Che li può pure licenziare, se non rispondono alle richieste della scuola. Prendiamo esempio?
Pietro Berra
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