Senza tema di esagerare, possiamo dire che l'attentato alle Torri gemelle ha impresso alla storia una svolta di importanza sufficiente per equipararlo agli eventi scelti dagli storici per separare un'epoca da un'altra: la scoperta dell'America, la Rivoluzione francese, lo scoppio della prima guerra mondiale. Il suo impatto è stato tanto più forte, in quanto era del tutto inaspettato. Nessuno - purtroppo nemmeno i servizi americani - si immaginava che Al Qaeda sarebbe riuscito in una impresa così ardita e complessa. La reazione degli Stati Uniti è stata perciò particolarmente dura, colpendo sia il Paese dove erano stati effettivamente preparati gli attentati, sia, due anni dopo, quell'Iraq di cui si sospettava soltanto che possedesse ordigni di distruzione di massa; ma essa ha indirettamente coinvolto anche il Pakistan e i Paesi del Golfo e - attraverso l'attivazione dell'art.5 della Nato, mai invocato durante la guerra fredda - tutti i membri dell'alleanza chiamati a dare il loro contributo sul fronte afgano.
E in tutti cinque i continenti si è sviluppata una paura latente di nuovi attentati, che condiziona i nostri comportamenti e ci impone nuovi costi. Come nel videogioco spesso citato da Tremonti a proposito della crisi economica, si elimina un mostro e subito ne compare un altro.
Le conseguenze dell'11 settembre saranno durature, forse addirittura permanenti, soprattutto negli Stati Uniti: per la prima volta in due secoli gli americani sono stati colpiti sul loro territorio, vicino al cuore, e per rispondere alla minaccia hanno finito - nonostante l'immensità dei loro mezzi - per dissanguarsi. Se, l'indomani dell'11 settembre, il mondo intero era solidale con loro (con le solite eccezioni, specie nella sinistra europea), nei dieci anni successivi gli umori sono cambiati. Sempre più spesso, magari con l'aiuto delle agenzie di rating, si sente parlare di "fine del secolo americano". Può essere che questi de profundis siano prematuri, ma se la deriva continuerà Osama vi avrà dato un bel contributo.
Livio Caputo
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