A tranquillizzarci, non tanto la precisazione delle autorità che l'incidente non è accaduto in una centrale vera e propria ma in «un impianto per il trattamento del combustibile nucleare» (sarebbe come se la direzione di una fabbrica di bombe dicesse, sperando di rasserenarci, che il botto non è accaduto dove si fanno gli ordigni ma dove si conserva la polvere da sparo), piuttosto il fatto che i francesi stessi hanno rapidamente dichiarato l'incidente «concluso» con il bilancio, relativamente modesto, di un morto e quattro feriti. Più convincente ancora, la fermezza con cui l'Agenzia per la sicurezza nucleare e la Polizia hanno escluso una fuga di radiazioni.
Pericolo scampato, potremmo dire, ma ciò che veramente dovrebbe farci riflettere, in questa situazione, non è tanto il sollievo provato dopo ma la paura provata durante. Come ha dimostrato il referendum del giugno scorso, il nucleare suscita nella gente un sentimento di repulsione, certamente più ascrivibile alla "pancia" che all'intelletto, ma non per questo meno degno di considerazione. Statistiche, studi e rassicurazioni degli esperti non risolvono del tutto il radicale timore che la maggior parte di noi prova nei confronti dell'energia atomica. A livello dell'epidermide, forse dei nervi e certamente dello stomaco, noi tutti consideriamo gli incidenti nucleari sullo stesso piano di quelli aerei: inaccettabili. E poiché la realtà dimostra - a Fukushima e, in misura molto minore, a Marcoule - che gli incidenti, al contrario, capitano, poco importa che le statistiche parlino di energia sicura: la paura resta; in sonno quando tutto va bene, pronta a incendiarsi alla prima oscillazione della lancetta di un contatore Geiger. Si dirà: accadono anche gli incidenti aerei, non per questo smettiamo di volare. Vero, ma c'è qualcosa di ancora più profondo, di ancora più insuperabile, nell'idea di un accidente in cui siano coinvolti svariati barili di uranio: è l'idea - l'incubo, diremmo - di una catastrofe irrimediabile, più subdola di un terremoto, più spaventosa di un uragano.
Nel dibattere di politica nucleare, nel considerare l'opposizione all'atomo come infantile e disinformata, non si può non tener conto della profondità di queste umane paure, di queste viscerali idiosincrasie. Per questa ragione - e anche nel rispetto della volontà popolare - vien da chiedersi se nella pur fondamentale sfida per assicurare all'umanità l'energia di cui ha bisogno, non sia il caso di chiudere il capitolo del nucleare (fonte già oggi considerata al massimo «di transizione») per concentrare gli sforzi su alternative più rassicuranti. Dopo tutto, non si scherza con i mostri, anche se, per fortuna, il più delle volte risiedono soltanto nella nostra testa.
Mario Schiani
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