Chi ne voleva una conferma l'ha avuta nei giorni scorsi, in occasione dell'inizio dell'anno scolastico, che ha interessato quasi ottocentomila studenti. Come da almeno quarant'anni a questa parte, il ritorno nelle aule è stato accompagnato non solo da un comprensibile malcontento per la fine delle vacanze, ma anche dalla rituali e ricorrenti polemiche sull'organizzazione e lo stato della scuola, la quantità di risorse che le riserva il governo, l'efficacia dell'intero sistema dell'istruzione pubblica. Legittimamente, le varie organizzazioni che si rifanno all'opposizione hanno organizzato, con l'intervento e il supporto di una parte (quanto rilevante è impossibile dirlo) del mondo studentesco, manifestazioni nel corso delle quali sono state lanciate pesanti accuse, dipingendo la scuola italiana come un organismo ormai al collasso sotto i colpi di una pioggia sciagurata e incosciente di tagli selvaggi.
Una delle immagini più efficaci utilizzate per denunciare il presunto sovraffollamento nelle aule italiane, che renderebbe l'insegnamento e l'apprendimento risultati aleatori di un'attività defatigante, è stata quella delle "classi pollaio". Se i nostri figli devono cercare di crescere culturalmente in ambienti equiparabili a stie per polli - è lo sviluppo sottinteso della protesta - come sarà mai possibile un risultato accettabile degli sforzi dei docenti? Il ragionamento non fa una piega, anche aggiungendo la considerazione che fare delle economie proprio sulla formazione e l'educazione dei giovani è una scelta da ultima spiaggia.
Ma qual è, in concreto, la realtà delle "classi pollaio"? Non smentita da alcuno - salvo errori - l'ha illustrata il ministro Gelmini, precisando che ci sono davvero classi con oltre 30 alunni, ma che sono soltanto lo 0,6% del totale, ovvero 2.000 su oltre 340.000. E ha aggiunto che un 4% delle nostre aule, invece, ospita meno di 12 alunni, mentre l'affollamento medio è inferiore a quello della media dei Paesi Ocse. Ora, posto che si possa definire pollaio un'aula dove si trovano in tutto più di 31 persone (molti di noi, secondo questi parametri, dovrebbero concludere di aver studiato in tane per topi) e ammesso che lo 0,6% del totale, per piccola che sia, è comunque una percentuale che va cancellata, davvero ha un senso qualunque il lanciare lo slogan "classi pollaio" riferito all'intera realtà della scuola italiana?
In realtà, come l'accusa che il governo stia riducendo il tempo pieno - alla quale il ministro ha risposto che quest'anno ne usufruiscono 170.000 studenti in più - il dato di fatto al centro del contendere sembra perdere ogni importanza, e comunque scivolare tranquillamente in secondo piano rispetto ai termini preconcetti, se non ideologici, della contesa. È evidente che è possibile che la Gelmini affermi il falso, a fronte di una situazione ben diversa e ben più disagiata, ma se è così sarebbe non solo utile ma doveroso smentirla con altri, più affidabili, dati numerici. Invece si insiste, come sempre, più sul folclore delle manifestazioni di piazza che su un razionale contrasto dialettico. Scommettiamo, stando così le cose, che anche quest'anno si stanno preparando le bare di cartone che puntualmente ogni dodici mesi vengono portate a spasso per le strade italiane a dimostrare che la scuola è morta?
Antonio Marino
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