A un altro cavaliere oggi, premier a tempo perso, basta una sola parola per confessare agli italiani l'equivoco della sua esistenza, continuamente in bilico tra realtà e sit com, spottone pubblicitario e schede telefoniche peruviane: “trappolone”.
Il trappolone, che Berlusconi teme ordito dai commissari Basettoni dei giornali, potrebbe essere, infatti, il titolo di un bel telequiz per famiglie con Gerry Scotti, a dimostrazione di come il nostro presidente del consiglio viva in una sorta di Disneyland comico-erotica, dove ogni limite è bandito e alieno ogni senso di vergogna. Senza arrivare al paradosso del nuotatore timido di Marcello Marchesi, che «affogò perché si vergognava a gridare aiuto», la soglia del rossore, oggi, la si valica soltanto dopo una esagerata assunzione di peperoncino oppure usciti dal solarium, mentre gli antichi sostenevano che soltanto chi sa vergognarsi può raggiungere la saggezza.
Provare un senso di vergogna è cosa molto personale, intima, che richiede profonde riflessioni, spirito di autocritica e una continua analisi delle proprie azioni. La “verecùndia”, il termine latino da cui deriva la nostra vergogna, comprende infatti quell'atteggiamento riservato e timoroso tutt'uno con il senso del pudore, altra qualità rara da avvistare quanto uno yeti. Se, come diceva Dante, «lo viso mostra lo color del core”, le due dita di fondotinta che illeggiadriscono quello del premier lo mettono al riparo da qualunque variazione cromatica visibile, di fronte alle accuse più pesanti come agli stentati accordi di chitarra di Mariano Apicella. Un cuore color del bronzo fuso, incapace di accettare anche la sola idea di errore, e quindi pronto a spostare il limite della decenza all'infinito, come si fa con gli “aiutini” a “Chi vuol essere milionario”.
Se si pensa che, un tempo, gli ufficiali di cavalleria in grave errore erano lasciati soli con una pistola perché lavassero con il loro sangue l'onta della vergogna, al nostro primo ministro e a Tarantini si dovrebbe consegnare come minimo un mortaio, ma ciò che Marx definiva «quella specie di rabbia rivolta verso di sé» è invece rilanciato ogni volta dal cavaliere contro magistrati e giornalisti. A differenza del governatore della Regione Lazio, Piero Marrazzo, capace di scomparire dopo il misfatto e ricostruirsi una coscienza in convento, dove di solito non ci sono specchi, Berlusconi colleziona le accuse più disparate e le nasconde in seno, allo stesso modo di Maura Livoli con le risposte ai tempi di “Telemike”. Ma si sa, il vizio è nemico della vergogna e il potere dà a chi ce l'ha una sorta di ebbrezza, uno status di superuomo lontano galassie da quello “di sofferenza emozionale e dolorosa autocondanna” così caratteristico di chi ancora possiede una coscienza.
Mario Chiodetti
© RIPRODUZIONE RISERVATA