Ma anche la tradizionale tre giorni lungo il Po, celebrata in coincidenza con l'anniversario del capo, non ha dato soddisfazione al Senatur. Al di là degli scontri di piazza e del consueto triste teatrino dello spregio al tricolore, la partecipazione non è stata la stessa degli anni precedenti. I mugugni della base non sono mancati e il cerimoniale ha dovuto seguire una regia occhiuta per non mettere in imbarazzo Bossi ed evitare che emergessero le evidenti spaccature in seno al movimento. L'abbraccio di Maroni a Calderoli in una scenografia brezneviana è stata la punta dell'iceberg di un'ipocrisia che non riesce a nascondere sotto il tappeto la polvere delle divisioni e dei malcontenti.
Si sa che il trincerasi di Bossi dietro alla secessione unito agli attacchi feroci e sguaiati alla stampa, è un segnale di difficoltà. Lo rivela la storia stessa di un movimento che, proprio nel momento del suo massimo fulgore in termini elettorali e di presenza al governo e nelle altre istituzioni sembra trovarsi, come accadde al vecchio Pci, fermo in mezzo al guado. Se il leader è acciaccato, anche il partito non sta molto bene.
Difficile barcamenarsi tra una secessione velleitaria e un federalismo che mostra un volto diverso e più cupo di quello atteso dai simpatizzanti leghisti. Ancora di più quando si deve pagare il prezzo della corresponsabilità in scelte di governo impopolari e indigeste. E soprattutto all'interno di un'alleanza con Berlusconi, sempre tollerato e mai apprezzato dalla base del Carroccio e ora non più sopportato per i continui scandali che potrebbero far crollare un palazzo in cui Bossi rischia di trasformarsi in prigioniero.
La crisi di leadership all'interno della Lega è tutta qui. Il Senatur sembra aver perduto il coraggio leonino di un tempo. Difeso dalla guardia d'onore del cerchio magico, combatte ogni giorno l'assedio di Maroni e dei suoi sindaci pretoriani. La retromarcia imposta a Fontana e Tosi, primi cittadini di Varese e Verona in prima fila nella protesta contro la manovra è solo un round. Altri ne seguiranno. Ma Bossi, se vuole riprendere in mano il movimento, deve trovare la quadra e decidere se sia più opportuno il lento logoramento determinato dall'attuale alleanza con il Pdl o il rischio di una traversata nel deserto in cui però potrebbe accompagnarlo gran parte del suo popolo. La terza via è quella di farsi da parte, calarsi nel ruolo di padre nobile e assumere la consapevolezza che un movimento politico non può essere una monarchia ereditaria.
La linea ondivaga di finta lotta e governo è logora e non paga più. Si è perso qualcosa nel feeling che ha sempre contraddistinto il Senatur e il suo popolo.
In settimana si saprà qualcosa di più. La Lega sarà chiamata a decidere alla Camera sulla richiesta d'arresto per Marco Milanese, deputato Pdl vicino a Tremonti. Ma soprattutto gli esponenti del Carroccio dovranno pronunciarsi sulla mozione di sfiducia presentata contro il ministro dell'Agricoltura, Saverio Romano, esponente dei Responsabili di cui è stato chiesto in rinvio a giudizio per mafia. Sarà disposto Bossi a far ingoiare anche questo rospo alla sua base? E poi che succederà?
Francesco Angelini
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