Che tuttavia fra Bossi e il Cavaliere tutto fili liscio sarebbe assai azzardato affermarlo. I mal di pancia del popolo leghista sono sempre più evidenti e generano reazioni e contraccolpi, intesi a contenerne gli effetti, sempre più pericolosi. L'ultimo è stato l'imprevedibile ritorno della parola d'ordine secessionista, che il Senatùr ha rilanciato nei giorni scorsi dal palco della festa veneziana, ricavandone nell'immediato boati di consenso e successivamente una brusca tirata di briglie dal presidente Napolitano. Questi ha rilevato - ed è ben difficile dargli torto - che «agitare la bandiera della secessione significa porsi fuori dalla storia, dalla realtà e dall'indispensabile impegno comune per far fronte alla situazione». Il capogruppo leghista alla Camera ha cercato dopo qualche ora di metterci una pezza (a dire il vero senza risultati entusiasmanti) parlando di «popolo sovrano e quindi al di sopra del Capo dello Stato» e difendendo la fantascientifica ipotesi di un referendum inteso ad avvalorare la scelta secessionista della Padania.
L'uscita di Bossi, che ha resuscitato una battaglia - quella appunto per il distacco del Nord dall'Italia - che sembrava definitivamente archiviata a fronte del progetto di trasformazione federalista dello Stato, è suonata incomprensibile alle orecchie dei più. Esclusi - evidentemente - gli scalmanati estremisti veneti, forse non immemori delle gesta del farsesco "commando" separatista che diede a suo tempo l'assalto al campanile di San Marco, con esiti esilaranti. Gli altri hanno preferito considerare anche questo ritorno di Bossi al vecchio cavallo di battaglia come un'espressione di nostalgico folclore, da archiviare nello stesso scaffale che contiene la sacra ampolla dell'acqua del Monviso e l'altarino del dio Po. Innocui balocchi - si diceva in tempi diversi da quelli in cui viviamo - sui quali non conviene formalizzarsi, visto che non producono nulla sul piano concreto.
Oggi, però, la situazione è diversa. E anche molti di coloro che avevano aderito con sincero interesse al progetto federalista, considerandolo correttamente come un'articolazione dello Stato, che rimaneva però unitario, non possono che restare perplessi di fronte a un ritorno della voglia di secessione che, anche se fosse un semplice vaneggiamento, sarebbe comunque un vaneggiamento pericoloso e tale da far pensare che il federalismo agitato fino a ieri non sia stato altro che una foglia di fico. Ma, al di là di ogni considerazione di merito, la questione appare a molti collocata a una distanza siderale dai problemi reali con i quali gli italiani (tutti, al sud, al centro e al nord) sono alle prese. Viviamo una crisi della quale è difficile perfino immaginare le possibili conseguenze, tentiamo rimedi che potrebbero addirittura rivelarsi peggiori del male, facciamo tutti i giorni i conti con una divorante incertezza del futuro. E dovremmo impegnare tempo ed energie a chiederci se la Valle Padana da sola sarebbe in grado di affrontare meglio i problemi che tutti ci affliggono?
Antonio Marino
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