Forse un volto freddamente disteso, senza rughe, solcato al massimo da uno scavo d'emozione per la vittoria da conquistare a ogni costo. Cioè un volto normale, di quelli della normalità d'oggi. Diffusa, accettata, politicamente corretta. Perché la politica fa la sua brava parte, nell'indicare il modello del maquillage di riferimento per truccarsi il volto. Ma non solo la politica, essendo la politica figlia della società e non il contrario. E dunque i tenutari d'una simile morale, non prevalente e tuttavia assai fidelizzata, dobbiamo cercarli tra di noi. Sapendo di poterli trovare. Riuscendo perfino a contarli e dargli un nome e un cognome. Ci viviamo in mezzo, al popolo dei tenutari.
Essendo questo lo stato delle cose, non sorprende la madre che interpreta il successo come unico fine della creduta felicità e non come mezzo utile a perseguirne un altro. Cioè l'illimitata fiducia verso i propri limiti, la generosità nell'offrire i talenti posseduti, lo spargimento dell'idea che se un'impresa la compie uno, la possono compiere in tanti, se non tutti. Invece a prevalere è una malintesa competitività, qualunque ne sia il prezzo: la scorciatoia vietata, l'inganno etico, la frode sportiva.
Del resto, gl'insegnamenti in materia non mancano. E il desiderio d'impararli, neppure. Voci, anche in tal caso, intercettate rivelano di genitori bendisposti verso figlie cui potrebbe capitare l'occasione della vita: vendere il corpo e comprare (credere di comprare) l'avvenire. Un affarone. Perché il potente che beneficia del favore, ricambierà prodigalmente. Se poi il potente è uno dal quale si può ricevere il dono dell'apparire, oltre a quello dell'avere, il top viene raggiunto. Soldi e celebrità, vogliamo mettere? Già. Vogliamo mettere da parte, cari genitori tragicamente confusi, questa raccolta di mele esistenziali belle all'aspetto e marce nel torsolo?
Prendere atto che circola una grave malattia culturale, e sono le cause da sanare anziché gli effetti da accettare? Comprendere che il demone della perdizione non è una paturnia del bigottismo, un artifizio letterario e neppure una fissazione da disturbati mentali: è un'entità concreta che s'insinua, ci pervade, induce a usare il proibito per raggiungere ciò che pareva impossibile e invece non lo è. Ma quando viene raggiunto, il proibito si rivela diverso da come ci si era immaginati che fosse.
Quale gratificazione può concedere infatti un successo che offende l'intimità spirituale, oscura la bellezza interiore, rende succubi (schiavi) d'un volgare chiasso esistenziale? E infine, poiché tocca a noi di dare i colori alla realtà che viviamo, siamo sicuri (siete sicuri, cari genitori tragicamente confusi) di non dover riparare a un'evidente assenza cromatica, il rosso della vergogna? Ci aiuterebbe, vi aiuterebbe, a riclassificare il vincere e il perdere secondo nuovi valori di graduatoria. Perdere soldi, fortuna, successo per non perdere il gusto d'una vita che rinunzi a scorrere via come la sabbia tra le mani. E scorra silenziosa, sobria, solida. Perdere per trovare. Perdere per vincere.
Max Lodi
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