Particolari, per consentire l'identificazione della giovane, non ne sono mai stati dati; ma il passaparola creato dall'eco dello scandalo ha fatto sì che la cerchia di coloro che conoscono i protagonisti del sospetto caso di doping abbia cominciato a parlare di quell'inchiesta e di quella ragazzina. Era inevitabile che una qualche reazione la provocasse, quella pesante accusa avanzata nei confronti della donna ribattezzata dagli inquirenti mamma-doping. Ma a bordo vasca qualcuno ha sbagliato i tempi e si è lanciato in una corsa in avanti finendo per scivolare. E così, anziché stringersi attorno alla ragazzina, in ogni caso la vera vittima di questa storia, quel qualcuno ha scelto di raffreddare i rapporti. Di isolarla. Reazione forse umana, ci si potrebbe giustificare a caldo. Niente di più sbagliato, sarebbe giusto commentare a freddo. I motivi per dirlo sono sostanzialmente due. Anche loro, tutto sommato, banali come dovrebbe esserlo la premessa. Il primo. L'accusa rivolta a quella madre non è una condanna. È un sospetto grave, ma non una certezza. È un'ipotesi investigativa dannatamente seria, ma non una sentenza. E quella frase catturata dagli inquirenti («mia figlia non può arrivare seconda») potrebbe anche essere stata dettata da un eccesso di agonismo gettato sulle spalle della ragazzina.
La seconda. Anche - anzi, soprattutto - se la donna si fosse davvero macchiata del gravissimo reato di aver messo a repentaglio la salute della figlia pur di vederla primeggiare in vasca, magari sognando di vivere un giorno quell'orgoglio che sicuramente deve provare la mamma di Federica Pellegrini, isolare la ragazza sarebbe profondamente sbagliato. Di più: deleterio.
Si potrebbero scrivere trattati sul bisogno dei giovani di sentirsi parte di un gruppo. Meglio: di una squadra. E si potrebbero ascoltare per ore, anzi interi mesi, le opinioni di psicologi ed educatori sul tema della costruzione dell'autostima, soprattutto quando questa rischia di poggiare su fondamenta fragili. Oppure si potrebbe, più semplicemente, ascoltare la voce del cuore. O anche solo una canzone.
Nel suo disco testamento, Giorgio Gaber ha lasciato un brano insolito per com'era lui. Una sorta di nenia il cui testo è un piccolo concentrato di consigli pensato per i genitori. Consigli non già su come comportarsi, ma su cosa non fare. «Non insegnate ai bambini - cantava il signor G - ma coltivate voi stessi il cuore e la mente. Stategli sempre vicini, date fiducia all'amore il resto è niente».
Spegnete l'iPod, ora. C'è un'amica da abbracciare.
Paolo Moretti
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