Sì, perché come si era intuito, il tono è duro, al limite del cinico, con un inedito pathos autoritario difficilmente replicabile nei rapporti fra un'istituzione come la Bce e uno Stato-governo nazionale. Eppure Trichet e Draghi non si fecero problemi, anche a costo di adombrare una lesione dell'indipendenza nelle scelte economiche. Un particolare, quest'ultimo, che la dice lunga su quanto abbiamo rischiato - e rischiamo tuttora - nell'estate più calda della finanza italiana. A leggerla con gli occhi di oggi però la lettera colpisce soprattutto per alcuni passaggi: quelli dove si elencano le misure che il governo non ha varato o solo in parte. A partire dall'esigenza di lasciare più spazio alla concorrenza fino alla «piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali» e alla necessità di varare, in materia di fornitura di servizi locali, «privatizzazioni su larga scala». Per le professioni, nella manovra varata, si apre ma nel contempo si pongono paletti diversi a partire dalla discriminante dell'esame di Stato.
È solo un esempio, ma nel confronto tra lettera e manovra su altri punti la convergenza è lontana, molto lontana. Sulle pensioni, ad esempio: l'equiparazione fra le dipendenti private e le statali non è ancora immediata e quindi non consente quei risparmi già nel 2012 come invece Francoforte chiedeva. Per un'ulteriore stretta sulla previdenza in generale, è meglio ripassare e ascoltare quanto ha detto Bossi appena due giorni fa. E sulla possibilità di tagliare gli stipendi nella pubblica amministrazione, letale in caso di elezioni, è stato steso non un velo ma un vero piumone.
Poi vi sono i capitoli più spinosi, legati al lavoro e ai diritti. Trichet e Draghi rimandano all'accordo del 28 giugno, ma sollecitano una revisione delle norme che regolano l'assunzione e il licenziamento (e su questo il governo è stato ossequiente con il famigerato articolo 8), aggiungendo però che serve un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e di politiche per facilitare la riallocazione delle riserve verso le aziende, aspetto quest'ultimo passato in secondo piano nella manovra. Non ignorate ma depotenziate e aggirate anche altre richieste come l'abolizione delle Province o lo stretto controllo sull'indebitamento e spese di regioni e altre istituzioni locali, pure questi provvedimenti pericolosi per il consenso elettorale. Ecco, questi i punti che hanno convinto il governo a tenere segreta la lettera. Ma purtroppo sono gli stessi nodi irrisolti che frenano i mercati, che non danno certezze sulle nostre riforme, sulla serietà e la volontà di cambiare la pelle di questa Italia vetusta e lenta. Oltre che indebitata e povera.
Umberto Montin
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