Che cosa sta succedendo? Il blocco sociale che ha sostenuto in tutto e per tutto Berlusconi negli ultimi anni ha ritirato, in maniera più o meno esplicita, il proprio supporto al governo. Il ministro Matteoli fischiato dai costruttori dell'Ance è solo l'ultimo episodio di una lunga serie. In manifestazioni pubbliche le più diverse (quella più visibile è stata la "marcia degli imprenditori" di Treviso), i ceti produttivi del Nord hanno cercato di dire "basta". Questa frana di consensi sul "lato destro" si va a saldare alle contestazioni da sinistra (il popolo viola, le donne del movimento "Se non ora quando"). Movimenti di ideologia diversissima trovano però un collante nell'istanza di "moralizzazione" della politica. È una sorta di ritorno al 1992: viene perfino cucinato un referendum elettorale, con l'assai condivisibile obiettivo di sbaraccare il "porcellum".
La storia però si ripete due volte, la prima come tragedia la seconda come farsa. Nel '92 a entrare in crisi era il sistema dei partiti, oggi contano singoli episodi: le vicende erotico-politiche del premier, la corruzione spiccia di vari esponenti della corte dei miracoli di cui si è circondato. Nel '92 la Confindustria si offriva per la "supplenza" a una politica in bancarotta, rompenendo il vecchio schema consociativo ed anticipando gli umori dei propri associati. Oggi la Confindustria nazionale arriva "tardi" rispetto a un sentimento antigovernativo che rivela una comprensibile frustrazione. Gli imprenditori perdonerebbero volentieri i festini del "presidente del fare", se non fosse che sono l'unico "fare" a cui si dedica. L'inconcludenza del governo, l'anti-liberismo ideologico del ministro dell'Economia, il continuo rinvio delle "riforme per crescere" danno poche speranze, anche a chi ha sempre sostenuto questa maggioranza, come molti industriali.
Tuttavia, c'è l'altro lato della medaglia. Emma Marcegaglia è a fine mandato e sembra tentata (come D'Amato e Montezemolo prima di lei) dalla "discesa in campo". Bonanni è già l'uomo forte del dietro le quinte della politica: giocando di sponda coi vescovi, è lui che sogna un asse Casini-Alfano-Maroni per un centro-destra deberlusconizzato e neo-democristiano. Marcegaglia è stata fino a ieri fin troppo vicina al governo, Bonanni continua a condizionarlo profondamente. L'opposizione all'innalzamento dell'età pensionabile per le donne, il no alla privatizzazione delle poste, la difesa del pubblico impiego (dove la Cisl è fortissima) portano la sua firma.
Insomma, c'è una componente "personale" della loro protesta che è bene non trascurare. Legittimamente, hanno visto aprirsi una finestra di opportunità e ci si vogliono infilare.
Attenzione però al paradosso del "dopo-Berlusconi": tutti se lo vanno immaginando, da anni, in un modo o nell'altro, ma non arriva mai. In questo, proprio la "classe dirigente" (non solo la classe politica) ha le sue colpe. E' difficile non essere d'accordo con Carlo Calenda e Andrea Romano, che sul sito di "Italia Futura" hanno ricordato come una classe dirigente avrebbe "il dovere di dire verità anche rischiose prima che diventino affermazioni scontate e di senso comune". E invece le associazioni di categoria arrivano solo oggi ad interpretare un malessere maturato già da mesi nel loro corpo associativo, che al contrario si dedicavano a sedare quando l'equilibrio politico sembrava più stabile e il governo Berlusconi quindi ancora una sponda affidabile. E' per questo che viene facile ai berlusconiani accusarli d'opportunismo: un'accusa che può, purtroppo, indebolire i loro giusti argomenti.
Alberto Mingardi
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