Riceviamo e pubblichiamo la lettera di una mamma di una bimba compagna della baby atleta del caso doping. Per ovvie ragioni di tutela dei minori omettiamo la sua firma.
Gentile direttore, leggo su "La Provincia" la vicenda della "mamma doping". Sono la madre di una giovane nuotatrice e credo che la ragazza sia una compagna di squadra di mia figlia: cercherò di non fornire troppi particolari per evitare che la minore possa essere riconosciuta anche se, nell'ambiente del nuoto, è un po' il segreto del mago: in almeno due province girano nomi e cognomi.
Condivido le riflessioni dell'editoriale di Moretti sulla vicenda, dalla presunzione d'innocenza al dovere di tutelare il benessere della ragazza. Ma. Ma come in tutte le cose c'è un ma. Anzi. In questo caso i ma, e anche i però, sono più d'uno. Non bisogna dimenticare i sentimenti dei compagni di squadra limitandosi a stigmatizzare il fatto che "la ragazza è stata isolata". Urge una premessa: da quando è scoppiata "la bomba", la minore, sempre che sia lei, non ha saltato un allenamento presentandosi puntualmente a bordo vasca tutti i pomeriggi con mamma al seguito a seguire gli allenamenti dagli spalti. Come se nulla fosse. La conseguenza? Si è creato un clima surreale, ragazzi e genitori spiazzati e sconcertati, domande che restano senza risposta. E se qualche ragazzo si è sentito tradito nella sua fiducia, nei suoi valori, in quei valori che lo sport gli ha trasmesso - dedizione, impegno, fatica, integrità morale, rispetto delle regole e considerazione per l'avversario - al punto da preferire di evitare contatti con la ragazzina, chi può dargli torto? Gli è crollato un mondo, un mondo fatto di certezze, come quella che chi va più forte è perché è più forte davvero. In uno sport come il nuoto, uno sport individuale, dove sei tu e il cronometro e basta, non si può barare, non ci sono scuse. Ci si assume le proprie responsabilità, sempre.
Se poi si instaurano atteggiamenti che denotano una completa non curanza dei sentimenti collettivi nonché una totale mancanza di buongusto, al punto da imporre la propria presenza (quella della madre, intendo) a ogni costo, le lascio immaginare come la situazione possa diventare esplosiva. Ora tutte le sere si va a letto tardi per rispondere alle domande dei figli: «Ma lei lo sapeva?», «Ma come faceva a doparla?». E via scambi di pareri tra ragazzi e ragazzini, tra adolescenti e poco più che bambini. Un bel daffare, da genitore, spiegare che se è davvero successo, sicuramente lei è una vittima: come può una figlia dubitare della madre? La mia, di figlia, ha capito. Ha tanta rabbia, dentro, ma ha capito. Quello che non riesce a capire invece è un'altra cosa: perché tanta gente, in questi giorni, ci chiede «Cosa cavolo succede nella vostra squadra?», come se il problema fosse della società e non attenesse esclusivamente (come è, invece) alla sfera della responsabilità personale.
Comunque la si guardi la società è additata, è un'onta, una macchia infamante. «Ma la società non fa nulla?», è l'altra domanda che ci si sente rivolgere in continuazione. No, perché formalmente nessuno l'ha informata e quindi non può prendere posizione. Ha dell'incredibile ma è così. Non sa nulla anche la Federazione italiana nuoto. Mah. Sarà anche così ma un po' di coraggio io me lo sarei aspettato: un'assunzione di responsabilità da parte della dirigenza. Perché se la ragazzina è da tutelare, lo sono altrettanto gli altri cinquanta atleti - a loro, che messaggio sta arrivando? - che fanno parte della squadra. Quanto meno allontanando la madre dalla piscina, fino a quando non sia tutto chiarito. Invece tutto resta in sospeso, è come se galleggiassimo nella nebbia, mi passi l'immagine, in un clima surreale e omertoso. Che ha volte fa paura.
Lettera firmata
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