Questa volta la sua decisione, minacciata in passato ma senza che nessuno la mettesse realmente nel novero delle possibilità concrete, segna davvero la fine di un'epoca. Una fine alla quale hanno fatto da preludio le spaccature e le contrapposizioni esplose fra le forze sindacali e che ora, con la frattura fra la fabbrica-simbolo dell'industria italiana e la un tempo potentissima confederazione dell'imprenditoria, rende palese, evidente un cambiamento drastico di situazione e di clima.
Tutto appare oggi più difficile di un tempo. La sopravvivenza, anche di quelli che apparivano dei colossi industriali inattaccabili, è ormai una faccenda complicata, una sfida da giocare e da vincere giorno per giorno, affrontando non solo le strade in salita della concorrenza internazionale su un mercato a dimensione planetaria, ma anche gli inciampi e le frenate imposti dalle arcaicità di un sistema-paese vistosamente arretrato, governato da una serie di veti contrapposti, di ritualità inconcludenti, di rendite di posizione, di dialettiche paralizzanti. Molte di queste cose erano state indicate dall'attuale maggioranza, e dal suo leader in prima persona, come gli idoli da abbattere, ma in realtà - complice la crisi, dice qualcuno in un disperato tentativo di autogiustificazione - quegli idoli sono rimasti tutti al loro posto.
Si procede stancamente sulla via di sempre e se c'è chi non ha nessuna, ma proprio nessuna ragione di lamentarsi, chi ha la responsabilità dei risultati di un grande gruppo industriale e coltiva un progetto per nulla rinunciatario non ha la possibilità di gettare la spugna rifugiandosi nella rassegnazione. E se ha il carattere del combattente, che di certo non fa difetto all'uomo dal maglione nero, non può fare altro che dare battaglia, magari uscendo dai confini di quell'etichetta di rapporti istituzionali che, in tempi normali, è apparentemente invalicabile. Marchionne, in altre parole, mette i piedi nel piatto, dicendo a voce alta - anche a Confindustria - che lui e la Fiat a scivolare in silenzio lungo questa china non ci stanno. E, per il momento, la replica della Marcegaglia appare quantomeno inefficace, appannata, rituale, così come gli ululati di sdegno di parte sindacale.
La partita che sta giocando l'uomo forte della Fiat non consente un'indulgenza eccessiva per il fair-play. Occorre mettere le carte in tavola anche con un pizzico di brutalità, perché la posta in gioco è terribilmente alta e occorre che tutti se ne rendano conto. «Fabbrichiamo automobili» è il mantra di Marchionne di fronte a qualsiasi contestazione. Gli avvenimenti delle ultime ore confermano che davvero l'intenzione è quella di continuare a fabbricarle e di affrontare a testa alta le attuali difficoltà. Ma a un patto, che nella competizione non si inseriscano sgambetti sleali e che tutti facciano davvero la propria parte, il proprio mestiere. Come andrà a finire non lo sa nessuno. Martedì la Borsa - come osservava qualcuno con un pizzico di compiacimento - ha punito la Fiat. Sarà, ma il peggior arbitro, di questi tempi, è una Borsa che ha perso ogni possibile criterio di valutazione. E i conti si fanno alla fine.
Antonio Marino
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