Perché quello lanciato dai commercianti è una bandiera bianca, un segnale di frustrante impotenza e una netta bocciatura nei confronti del ceto politico locale. Se, come ci avete dimostrato, non siete capaci di sistemare le brutture della Ticosa, del lungolago, della sporcizia, e dei muri imbrattati, almeno celate le brutture, si dice in sostanza nel messaggio a cui peraltro il sindaco ha risposto con un balbettio.
Potrebbe quasi sembrare un atto d'amore disperato verso Como se non provenisse da una categoria spesso abituata come usava dire l'ex sindaco Renzo Pigni, a tenere la testa nel cassetto.
Ma è comunque legittimo che i commercianti si preoccupino anche dei loro interessi nel momento in cui, a causa dell'incapacità amministrativa, si rischia di perdere l'occasione offerta da Expo.
Il problema però risiede nel salto di qualità verso il basso rappresentato nella denuncia. Non c'è altra soluzione che quella di limitare i danni, di occultare ciò che non è opportuno far vedere. Come quelle famiglie di una volta che, in occasione di visite importanti, mettevano sotto chiave il parente imbarazzante.
Siamo a Como impresentabile. Alla resa. Che però non può essere definitiva. Perché la città possiede le risorse naturali, ambientali, intellettuali e personali per tirarsi fuori da questo pantano. Le colpe della situazione non sono né dei comaschi né di Como. Che somiglia un po' a una Cenerentola oppressa da matrigne e sorellastre che non è difficile individuare in chi ha governato il Comune in questi ultimi anni.
La sortita dei commercianti, categoria peraltro non ostile dal punto di vista politico dalla maggioranza di palazzo Cernezzi, è la certificazione del definitivo fallimento. Per salvare il salvabile bisogna usare artifici come i fondali di cartapesta che il fascismo usò a Roma nel 1938 per celare i tuguri agli occhi di Hitler in visita.
Altro non ci si può aspettare da questi politici. Ma Como non può continuare a nascondersi. È una città che deve vivere di turismo, cioè della sua bellezza. Perché il turismo dell'orrore esiste ma, per fortuna, è un'industria marginale. I dati sulle presenze sono confortanti. Ma si tratta di un tesoretto che rischia di essere perduto se chi è arrivato quest'anno e intende tornare l'anno prossimo si trovasse (e accadrà) il lago ancora oscurato dal cantiere delle paratie. O, alla meglio, una lenzuolata a coprire il tutto.
Como non può permettersi di fare la Cenerentola all'infinito. Anche questa favola ha bisogno di una fata buona che operi la trasformazione. Questa fata dovranno sceglierla i comaschi alle elezioni amministrative della prossima primavera. Potrà essere anche un principe che svegli la città addormentata dalla mela avvelenata della mala amministrazione (in fondo Biancaneve e Cenerentola sono parenti) ma deve arrivare. Ogni favola prevede il lieto fine. Ogni incubo prima o poi è interrotto dal risveglio.
Francesco Angelini
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